5 feb 2014

Drago Ivanović e i partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana


La vicenda de “i campi del duce” (come il titolo del libro di Spartaco Capogreco) in cui vennero internati più di 100 mila jugoslavi è ancora poco conosciuta. Pochi gli storici che se ne sono occupati, scarsa l'attenzione dei media rispetto ad altri episodi della guerra mondiale. Ma ancor meno indagata è la sorte dei prigionieri “slavi” successiva all'8 settembre 1943. A raccontare questa parte poco studiata della storia italiana è una recente pubblicazione di Andrea Martocchia, presentata il 29 gennaio a Udine al convegno su “I campi di concentramento fascisti”.
Con “I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana” (edizioni Odradek, 2011) l'autore ricostruisce dettagliatamente il ruolo, a suo dire determinante, che ebbero gli ex-internati deportati dai Balcani nello sviluppo della Resistenza nel centro-sud della penisola. La maggior parte dei 150 campi di internamento (la stima di Martocchia) in cui vennero rinchiusi si trovava infatti nel centro-sud Italia. Dopo l'armistizio, ha ricostruito Martocchia, “la maggior parte degli ex-prigionieri jugoslavi si unì alla Resistenza italiana sebbene sembra siano spariti dalla Storia”. Pagando nella lotta di liberazione un pesante tributo di sangue: “secondo i dati che abbiamo raccolto – le parole dell'autore - almeno 1800 jugoslavi persero la vita o risultano dispersi negli scontri con i nazi-fascisti.” Alle formazioni partigiane italiane - ha spiegato Martocchia – gli ex prigionieri jugoslavi fornirono un importante supporto sia dal punto di vista militare (alcuni degli ex-internati avevano già preso parte alla Resistenza jugoslava) sia dal punto di vista politico: in molti avevano infatti aderito prima della deportazione alla lega della Gioventù comunista jugoslava.
Formazioni e combattenti jugoslavi, ha spiegato Martocchia, furono attivi soprattutto in Toscana, in Puglia (una zona strategica anche per i contatti con la Resistenza nella penisola balcanica) e sulla dorsale appenninica tra Marche, Umbria e Lazio. Quest'ultima era considerata (anche dallo stesso Mussolini) una zona altamente strategica. Il fenomeno del “ribellismo” riuscì infatti a “tagliare” i collegamenti fra la pianura padana e Roma. Emblematica, anche per il ruolo degli ex-internati Jugoslavi, la costituzione della Zona libera di Cascia definita da Martocchia come “il primo territorio liberato dalla Resistenza Italiana”. Raggiunse, il 16 marzo del 1944, i mille km² di estensione, ma la cittadina di Norcia (a nord della zona libera) risulta liberata già dal febbraio dello stesso anno. In questa zona ebbero un ruolo fondamentale i due battaglioni formati dagli jugoslavi e denominati Tito I e Tito II.
Poco più a Nord, circa mille jugoslavi (perlopiù Montenegrini) erano stati rinchiusi nel campo di Colfiorito (PG), in molti dopo l'armistizio si unirono alla Resistenza. Fra questi anche Dragutin Velišin Ivanović detto Drago (classe 1923) che è stato protagonista di uno degli interventi più applauditi del convegno di Udine. Ha raccontato come dopo la cattura (nel maggio del 1942 per via della sua adesione alla Resistenza) sia stato internato in Albania. Da lì è stato deportato prima in Montenegro, poi in Puglia e infine a Colfiorito da cui, insieme ad altri connazionali, è riuscito a fuggire il 22 settembre 1943.
Ivanović ha testimoniato come sin dai tempi trascorsi in prigionia fosse stato protagonista di diverse forme di lotta organizzata insieme agli altri internati. Dopo la fuga si è unito, già nell'ottobre del 1943, alla Resistenza italiana che operava sugli Appennini fra Marche, Umbria e Abruzzo. La testimonianza storica di Ivanović si mescola poi, nel racconto, alle memorie personali: commovente il ricordo della sua “mamma italiana”, una contadina abruzzese da cui si è sentito adottato. La donna aveva un figlio che combatteva con i nazi-fascisti. In un'occasione, a guerra ancora in corso, il figlio della donna ha fatto ritorno a casa; allora ha incontrato anche Ivanović che – ha raccontato – non se la sentì di salutarlo. La donna però ruppe l'imbarazzo abbracciando entrambi, felice di avere entrambi i “figli” riuniti a casa.


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