15 gen 2016

“Confini e filo spinato, la cosa peggiore per l’Europa”



Un centinaio di persone, tra pubblici amministratori, rappresentanti di associazioni e semplici cittadini italiani, sloveni e croati hanno preso parte la scorsa settimana a una manifestazione per esprimere contrarietà al filo spinato anti-profughi dispiegato dal governo sloveno a Dragonja, lungo il confine tra Slovenia e Croazia. Per la parte italiana a guidare la missione c’era il presidente della Provincia di Gorizia, Enrico Gherghetta, promotore dell’iniziativa col supporto di Maurizio Tremul, presidente della comunità italiana in Slovenia e Croazia. Simbolicamente, dei mazzi di fiori sono stati depositati nell’intreccio del filo spinato. Su questa cerimonia, e sul momento che si vive nelle zone del confine sloveno-croato, ne abbiamo parlato con Tremul, presidente dell’Unione italiana in Istria.
Come rappresentanti della comunità italiana in Istria vi siete recati sul confine a Dragonja posando dei mazzi di fiori sul filo spinato collocato dal governo sloveno come argine al flusso di migranti. Che significato ha per la vostra comunità questo gesto?
“Un significato simbolico importante perché abbiamo voluto dire chiaramente al governo sloveno che il filo spinato non risolve assolutamente alcun problema, divide e offende il nostro territorio. Credo sia giusto che una parte costituiva di esso, come la nostra comunità autoctona, esprima con chiarezza la propria contrarietà a Lubiana. La cosa positiva è che c’è stata una coralità in questa manifestazione, un’unità di intenti tra italiani, sloveni e croati, e questo ha un grande valore morale.”
Se non il filo spinato, cosa può risolvere il problema della continua ondata di migranti che utilizzano la rotta dei Balcani?
“Esistono soluzioni alternative, ci sono altri sistemi più avanzati tecnologicamente ed efficaci. Il problema è che manca una politica comunitaria che affronti il problema a livello europeo, in questo senso Slovenia e Croazia si sentono abbandonate e sole.”
Abbandonati e soli, ma forse anche i rapporti spesso tesi, a livello istituzionale, tra i due Stati, non aiutano in questa vicenda.
“Sicuramente, nel momento in cui Slovenia e Croazia tengono aperte questioni come Krško o i confini marittimi, che possono avere conseguenze anche dolorose per la Slovenia, invece di sedersi ad un tavolo e ragionare, si cerca di spostare la questione su Schengen. Ma ricorrere ad arbitrati e tribunali non è la soluzione migliore. Probabilmente certe scelte da scaricabarile pesano. Il problema però, ripeto, è a monte, è nella difficoltà dell’Europa di affrontare il problema.”
Le chiederei infine una sua definizione, anche intima se vuole, di ‘confine’ oggi, alla luce della storia della sua terra, delle traversie, dei cambiamenti positivi dell’ultimo decennio ma anche del propagarsi di una tendenza che vede la costruzione di barriere dove parevano ormai cancellate.
“La frontiera è quel limite che cerchi di superare e che può avere anche un valore positivo, serve a capire che si può allargare l’orizzonte. Ma qui parliamo di confini che chiudono, che vogliono separare e soprattutto rinchiudere, non far comunicare con l’esterno. Le chiusure non fanno mai bene, per questo motivo in Istria siamo contrari, pensiamo che chiudendoci non difendiamo meglio la nostra identità, lingua e cultura, semmai è possibile che le perdiamo prima. Il confine è la cosa peggiore che possiamo avere in un’Europa che sembrava andare in direzione opposta, verso un ulteriore allargamento. Oggi di fatto Schengen è come se fosse abolita, è un periodo brutto e preoccupante.”

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