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Una lingua si può considerare invece, dal punto di vista sociolinguistico, come un insieme di varietà (o varianti) linguistiche aventi un nucleo comune e una costellazione di elementi e fenomeni particolari che le distinguono l’una dall'altra; varietà che può essere anche particolarmente spiccata.
Anche il repertorio linguistico di una comunità va generalmente considerato come una somma di varietà linguistiche appartenenti allo stesso o a differenti sistemi linguistici, e queste sono: varietà diacroniche (la cui differenziazione si situa lungo l’asse del tempo), varietà diatopiche ( differenziate in base alla collocazione geografica), varietà diastratiche (differenziate in base all'appartenenza dei parlanti a diverse classi o gruppi sociali), varietà diafasiche (differenziate in base alle situazioni di impiego della lingua, come ad es. il gergo tecnico, medico, legale, etc.), e varietà diamesiche (differenziate in base al mezzo o canale di comunicazione (lingua parlata e lingua scritta).
Le varietà linguistiche hanno dunque uno status differenziato all'interno della comunità parlante (Ammon 1989; Berruto 1995: 201-227), e una varietà linguistica può fungere da indicatore sociale: attraverso la varietà che parlano, i membri di una comunità rivelano e possono affermare, in maniera conscia o inconsapevole, la propria identità socioculturale; inversamente, l’uso di una varietà di lingua fornisce indicazioni sulla collocazione socioculturale del parlante.
Ogni lingua ha dunque al suo interno differenziazioni collegate con fattori sociali ed extra-linguistici ed è articolata in varietà, che rappresentano le diverse attualizzazioni, ognuna distinta per alcuni tratti dalle altre, in cui si manifesta concretamente il sistema della lingua nei suoi impieghi presso una comunità. Una varietà di lingua si può definire come un insieme coerente di elementi (forme, strutture, tratti, ecc.) di un sistema linguistico che tendono a presentarsi in concomitanza con determinati caratteri extra-linguistici, sociali (Berruto 2004).
È quindi sempre un’entità che presuppone una correlazione tra fatti linguistici e fatti non linguistici, e deve essere caratterizzata sulla base di entrambi. Una definizione più tecnica di varietà di lingua è: "un insieme solidale di varianti di variabili sociolinguistiche".
L’articolazione di una lingua in varietà di diverso genere fu riconosciuta già da importanti autori di fine Ottocento, come H. Paul e W.D. Whitney, e compiutamente teorizzata dalla sociolinguistica, soprattutto europea, nella seconda metà del XX secolo. Le lingue nascono e si evolvono spontaneamente; quelle che diventano "ufficiali" di uno Stato lo diventano per diversi motivi che possono essere: il maggior grado di intellegibilità con le altre (es. l'hochdeutsch scelto da Lutero come "lingua franca" per tutti i popoli tedeschi); l'essere la lingua dell'etnia politicamente e militarmente dominante (es. il russo); oppure essere la lingua dell'intera comunità nazionale che compone lo Stato (in questo caso vi è perfetta identità tra Stato e Nazione...ma non mi viene alcun esempio in mente parlando di paesi europei); finito di parlare di lingue "naturali" divenute ufficiali, passiamo alle lingue "composite", che possono essersi formate in maniera più o meno spontanea combinando elementi di miglior resa semantica ed intellegibilità dalle varie varianti che la compongono (come il greco koiné e le lingue "mercantili" come il veneziano coloniale o il triestino), oppure letteralmente "assemblate scientemente in laboratorio come il mostro di Frankenstein" (ovvero l'italiano "standard" moderno, creato artificialmente per scopi politici).- dal web
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