27 ott 2016

Politica, società e cultura prima e dopo il plebiscito


Gli anni che precedettero e seguirono il plebiscito del 1866 segnarono un svolta radicale nella vita sociale, economica e politico-amministrativa della Slavia e in particolare delle valli del Natisone.


Il convegno sui 150 anni da quella data simbolica per la storia della comunità, tenutosi a San Pietro al Natisone lo scorso 21 ottobre, è stato l’occasione anche per riflettere e approfondire aspetti spesso poco conosciuti su come l’ingresso del sistema dello Stato moderno abbia determinato un profondo cambiamento nella millenaria storia di questa comunità di confine.
Ines Beguš (Università del Litorale) ha relazionato sul complesso sistema di autonomie di cui godettero le valli del Natisone durante il periodo della Repubblica Serenissima. Era il sistema, ereditato dal Patriarcato di Aquileia, delle convalli di Antro e Merso, degli Arengo e delle vicinie in cui si decidevano le sorti politiche e amministrative del territorio in forma assembleare. Dei privilegi in termini di dazi concessi da Venezia e dell’ampissima autonomia giudiziaria concessa alle due Banche (sempre ad Antro e Merso) che decidevano sanzioni e pene anche nei casi di illegalità più gravi. La fine di quell’esperienza, sancita dalla capitolazione della Serenissima avvenuta per mano di Napoleone (1797), segnò la storia delle valli del Natisone. Con ogni probabilità, fu proprio il ricordo di quell’esperienza di autonomia a determinare, nella classe intellettuale del tempo, la preferenza (negli anni precedenti il plebiscito) per il Regno di Italia, visto come naturale erede di Venezia. Anche a livello economico l’impronta dello Stato moderno segnò una svolta per le valli del Natisone. Nella sua trattazione sugli sviluppi dell’alpeggio e della pastorizia sui versanti montani delle vallate, Špela Ledinek Lozej (università di Udine) ha posto l’accento sul progressivo smantellamento, avvenuto negli anni a cavallo tra 19º e 20º secolo delle proprietà collettive che svantaggiò le famiglie più povere.
Il convegno è stato anche l’occasione per fare il punto sugli sviluppi della ricerca su alcuni tratti antropologici caratteristici della Benecia. Dopo la trattazione di Andrejka Ščukovt (Istituto per la tutela del patrimonio culturale della Slovenia) sull’architettura di confine del paese di Robedischis, Marjeta Pisk (Istituto di musica popolare del Centro di ricerche scientifiche dell’Accademia slovena delle scienze e delle Arti di Lubiana) ha relazionato sulle pubblicazioni che sono state realizzate, nel tempo, sui Canti popolari di questo territorio.  Canti che – ha sostenuto – hanno avuto un’importanza non secondaria, nonostante la presenza del confine, nel processo di canonizzazione della creatività popolare slovena.
Barbara Invačič Kutin (Istituto per l’etnografia slovena del centro di ricerche scientifiche dell’Accademia slovena delle scienze e delle Arti di Lubiana) ha invece illustrato la figura mitologica delle Krivapete, tipica proprio della Benecia. La trasmissione praticamente solo orale, prassi in vigore fino a tempi relativamente recenti, di tante storie con al centro questa figura, si spiega anche – ha sostenuto Kutin – con le condizioni storico-politiche non favorevoli allo sloveno della Benecia intervenute dopo il plebiscito.
Gli interventi di Danila Zuljan Kumar (Istituto per la lingua slovena Fran Ramovš) e Maja Mezgec (Slori) hanno riportato l’attenzione sullo stato attuale della comunità linguistica slovena della zona. La ricerca illustrata da Kumer ha evidenziato un atteggiamento diverso dei vari intervistati friulanofoni e slovenofoni della provincia di Udine nei confronti della propria lingua madre rispetto a quello tipico che si registrava fino a vent’anni fa. Nonostante la diminuzione dei parlanti – ha spiegato – gli sloveni della Benecia non percepiscono più, oggi, la subalternità della propria lingua rispetto a quella ufficiale dello Stato. Una condizione, questa, che si riflette anche nelle conclusioni della ricerca condotta dallo Slori sulla visibilità dello sloveno nelle insegne pubbliche. Secondo i risultati esposti da Mezgec, infatti, le scritte in sloveno sono in aumento e non in condizione di subalternità rispetto all’italiano anche nelle insegne dei territori della fascia confinaria della provincia.
Milan Pahor infine ha relazionato sulle buone prassi dei campi estivi (tra il 1983 e il 1998) fra i giovani sloveni in Italia tenutisi tra Benecia, Resia e Valcanale. Esperienze che hanno prodotto numerose pubblicazioni e qualche risultato concreto come l’istituzione del museo etnografico di Resia.

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