30 gen 2017

Quando la guerra è interiore: Trilogia della città di K

Due gemelli, una nonna sconosciuta e dai contorni di favola macabra, una piccola casa a pochi metri dalla frontiera con “l’altro Paese”; una cittadina chiusa in se stessa, che langue nella povertà e nell’isolamento, ma che rifiuta – in qualche modo – di soccombere. Sullo sfondo, quasi impalpabile, la guerra: nera di morte e di miseria, spettro innominabile e innominato.
I gemelli (non si conoscono, all’inizio della storia, i loro nomi) hanno solo undici anni quando, per volontà di una madre disperata, vengono portati via dalla “Grande Città”, loro luogo natio, e condotti dalla nonna in campagna, nella “Piccola Città” (mai nominata se non per l’iniziale, K. appunto), per sopravvivere alla fame e ai bombardamenti. Con loro, solo una piccola valigia; di fronte a loro, soltanto due possibilità: indurire il carattere, o crollare di fronte ai soprusi della nonna, alle interminabili ore di lavoro, al freddo, alla povertà, al male sociale che lento dilaga nel bisogno e negli stenti. Dotati di una lucidità rara e spietata, i gemelli si adattano perfettamente all’ambiente che li circonda, esorcizzando il male in un grande quaderno contenente i racconti delle loro giornate. Si sostengono a vicenda fin quasi a fondersi l’uno nell’altro, fino a diventare una sola anima e un solo corpo, che parla attraverso il quaderno con l’unica voce, arida, di un osservatore troppo maturo per la propria età.
Fino a quando, un giorno, finita la guerra, uno dei due gemelli decide di attraversare la frontiera: sarà l’inizio di una divisione lacerante, di un senso di perdita incolmabile e sordo nel suo dolore. Il gemello rimasto nella Piccola Città ha ora un nome, Lucas, mentre il ricordo del fratello (che ora sappiamo chiamarsi Claus) sembra perdersi leggero nella memoria e nel tempo. Eppure, la ricomposizione di un tutto che pare ormai lacerato è il quieto sottofondo di qualsiasi azione: Lucas sa di doversi sentire incompleto senza il fratello. Sarà l’inizio di una prova che cambierà nel profondo qualsiasi consapevolezza, capovolgendo illusioni e speranze.
Scritto tra il 1986 e il 1991 da Ágota Kristóf (30 ottobre 1935 – 27 luglio 2011), scrittrice ungherese naturalizzata svizzera, Trilogia della città di K. è – fuori d’ogni dubbio – uno dei romanzi più intelligenti mai scritti. Composto di tre diverse parti (Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna), ciascuna delle quali narra una diversa parte della storia da punti di vista differenti, è un mirabile intreccio di trame che si fondono e si sciolgono su infiniti livelli, fino a lasciare il lettore attonito e indelebilmente sorpreso dalle rivelazioni finali. Il rapporto tra Claus e Lucas è peculiare anche se ci si sofferma ai soli nomi, uno l’anagramma dell’altro: i gemelli sono legati da un sentimento e da una vicinanza talmente profondi da risultare incomprensibili, persino morbosi, a chi li circonda. Lucas e Claus possono essere due e uno solo, in un continuo gioco di doppi e false proiezioni che colpisce per la sua sagacia e per il continuo ribaltamento di punti di vista. Sullo sfondo, come una macabra cornice, l‘orrore della guerra prima e lo spettro del socialismo reale poi: una realtà che si mostra nuda, fuori da ogni mitizzazione, e che non risparmia alcun dettaglio. Quella di Kristof è una prosa incredibilmente arida, e tagliente come pochissime, eppure ha saputo sublimare la distruzione e la tragedia del secondo conflitto mondiale meglio di molte altre. Non viene fatta menzione di luoghi, schieramenti, battaglie, città: è bastata la voce candida di due ragazzini, sporcata dalla cruda consapevolezza della propria condizione, a farci capire tutto ciò che era necessario capire. Il microcosmo di personaggi che si muove attorno a Lucas e Claus è il ritratto più fedele di una disperazione viscerale, muta di fronte all’indifferenza; una disperazione viziosa, malata, contorta, a tratti inspiegabile. Kristof, nata ella stessa in un villaggio ungherese “privo di stazione, di elettricità, di acqua corrente, di telefono”, e fuggita in Svizzera in seguito all’intervento dell’Armata Rossa in Ungheria, narra l’esilio e il dolore dello sradicamento in un modo che, lungi dall’essere impersonale, mette a nudo le paure e i gli incubi più intimi.
Trilogia della città di K. non è, quasi sicuramente, un libro per tutti. Durissimo, acre, tratteggiato a pennellate violente, è difficile anche per il lettore più accorto. Eppure, per chi si sentisse pronto ad affrontare la prova, è un’impareggiabile sfida alla coscienza e alla nostra idea di passato, guerra, legami familiari, illusioni.
Kristof ha scritto un romanzo che è certamente destinato a chi saprà comprenderlo, ma è indubbio che la sua portata saprà ergersi nella memoria di chiunque.


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