10 mar 2017

Periodi della storia in cui alcune vite valgono meno

UDINE - VIDEN
 Le opzioni in Valcanale e Sudtirolo e le sopraffazioni dei gruppi indifesi al centro di un convegno Sabato 18 febbraio anche la Valcanale, con la sua travagliata storia, è stata protagonista di un’interessante conferenza svoltasi al Museo Etnografico di Udine, a Palazzo Giacomelli, dal titolo «Dove ci portate? Wohin bringt ihr uns? Kam nas peljete?». Alla conferenza è stata trattata la difficile tematica delle opzioni in Alto Adige/Südtirol e in Valcanale e delle deportazioni dei pazienti degli ospedali psichiatrici delle provincie di Bolzano, Trento, Udine e Belluno nel maggio del 1940. L’incontro è stato organizzato dal Dipartimento di salute mentale, dall’Azienda sanitaria universitaria integrata di Udine e dal Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Udine. Sotto la moderazione di Paolo Ferrari, docente di storia contemporanea all’Università di Udine, si sono susseguiti gli interventi di Lara Magri, responsabile del Museo Etnografico del Palazzo Veneziano, di Stefan Lechner, storico dell’Associazione Geschichte und Region/Storia e regione di Bolzano, di Kirsten Duesberg, sociologa e di Gian Paolo Gri, antropologo. Nel Terzo Reich due elementi centrali furono rappresentati dallo spostamento di popolazioni in funzione degli obiettivi della Germania, nonché da razzismo e discriminazioni, costitutivi sia per il nazismo sia per il fascismo. Secondo gli accordi tra Italia e Germania, con le opzioni del 1939 alle popolazioni delle isole linguistiche tedesche in Italia (ma non solo di parlanti tedesco si trattò) fu chiesto di scegliere tra la cittadinanza tedesca e il trasferimento nel Reich o il mantenimento della cittadinanza italiana con permanenza in Italia, rinunciando al riconoscimento come minoranza linguistica. Le opzioni coinvolsero in particolar modo l’Alto Adige, ma anche zone del Trentino, del Bellunese e la Valcanale (coi comuni di Malborghetto, Tarvisio e parte del comune di Pontebba). Le dinamiche degli anni precedenti, con l’affermarsi delle politiche fasciste di oppressione delle minoranze linguistiche, che acuirono la difficoltà a relazionarsi col nuovo apparato statale e a trovare un proprio posto nella vita lavorativa e pubblica, nonché la speranza di un futuro migliore nel Reich, fecero sì che al 31 dicembre 1939, al termine previsto per l’opzione, la stragrande maggioranza degli aventi diritto scelse la cittadinanza tedesca. In Valcanale, di fatto, il diritto fu esteso anche ai madrelingua slovena; l’essenziale era dichiararsi di nazionalità tedesca. Entro questa cornice, fino a poco tempo fa il destino delle persone disabili è stato un tabù. In Sudtirolo circa 1000 malati psichici e disabili mentali lasciarono la loro terra nel periodo della seconda guerra mondiale. Per le opzioni del 1939, a Bolzano fu disposto che per chi non poteva optare autonomamente avrebbero potuto optare i genitori, uno dei fratelli adulti o un legale rappresentante, ma la mancanza di una regolamentazione comportò che ci fossero anche pazienti per cui non si optò per dimenticanza. I malati e i disabili non rientravano tra il materiale umano di alta qualità da insediare. All’epoca già circolavano voci sulla pratica dell’eutanasia nella Germania nazista e, nell’inviare i malati, i responsabili medici italiani non potevano ignorare i rischi che avrebbero corso i pazienti.
Una volta in Germania, in ogni caso, i pazienti sudtirolesi furono di fatto esclusi dal programma nazista di eutanasia dell’Aktion T4. Si può ipotizzare che la motivazione del trattamento diverso stia nell’Asse esistente tra Italia e Germania. Tuttavia, resta da chiedersi in quanti casi le cattive condizioni di degenza possano avere influito sulle aspettative di vita dei pazienti. Le tristi vicende di malati e disabili mentali, sia dei morti che dei sopravvissuti, sono state dimenticate SLOVIT n° 2 del 28/2/17 | pag. 17 e rimosse dopo il 1945, e per molto tempo è stata data per certa la versione che questi malati fossero stati tutti uccisi dai nazisti. Durante la conferenza, Kirsten Duesberg ha contribuito a riportare alla luce un pezzetto di storia relativo alle vicissitudini di otto pazienti originari della Valcanale, tre donne e cinque uomini, che alla fine degli anni’30 erano ricoverati all’ospedale psichiatrico di Sant’Osvaldo di Udine. Nell’ambito di una ricerca ancora in corso, sono state esaminate le cartelle relative a sei di questi pazienti, di lingua tedesca e slovena o plurilingui, passati tutti, sotto la forma del rimpatrio e con un viaggio da Udine, a Pergine, a Zwiefalten in Germania, da un manicomio italiano a un manicomio tedesco. Si tratta di storie di vita diverse, di disabili mentali di giovane o di media età che si sono trovati a subire le ricadute di dinamiche più grandi di loro. Due dei pazienti valcanalesi, i più deboli, morirono a breve tempo dal loro arrivo a Zwiefalten per le cattive condizioni in cui erano mantenuti. Altri due, evidentemente particolarmente forti, superarono la guerra e vissero a lungo. Uno sprazzo di libertà, dalle storie portate alla luce da Duesberg, emerge dalla storia di Olga, che dalla propria cartella risulta evasa da Zwiefalten nel 1945. Anche questa ricerca contribuisce a rompere il tabù che ancora aleggia attorno al riconoscimento dei pazienti psichiatrici come vittime della persecuzione nazifascista.
Luciano Lister (Dom, 28. 2. 2017)

3 commenti:

  1. Cara Olga, interessante post, qui ai portato la storia dei confini d'Italia e delle varie etnie, che causa una politica aggressiva a dovuto subire tante sofferenze, grazie di questo post!!!
    Ciao e buona giornata cara amica con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

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  2. Periodi della storia in cui alcune vite valgono meno

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