9 mag 2017

Borghi con la sindrome di Stoccolma

L'opinione di Riccardo Ruttar
Che il ministero della Cultura e del Turismo nostrano abbia proclamato il 2017 come «l’anno dei borghi» non significa che migliori il quadro complessivo dei piccoli insediamenti abitativi sparsi sul territorio nazionale. La frammentazione abitativa ed amministrativa in Italia sconta qualcosa come 5.585 comuni al di sotto di 5 mila abitanti – su 7.998 comuni complessivi – i quali coprono il 70 per cento del territorio, ma solo 10 milioni di residenti rispetto alla popolazione complessiva, di poco superiore ai 60 milioni.
L’intento ministeriale è quello di valorizzare sul piano statale e internazionale le migliaia di borghi del nostro Paese, ovviamente privilegiando le località di spiccato interesse culturale e artistico, che per lo più rimangono fuori dai classici circuiti turistici fagocitati da poche grandi città.
In effetti la Camera approvò lo scorso settembre una legge sui piccoli comuni per sostenerli, per promuovere la diffusione della banda larga, per razionalizzare i servizi, per creare itinerari di mobilità e turismo, per promuovere produzioni agroalimentari a filiera corta e quant’altro.A contarli, i borghi passibili di tali interventi sarebbero una cifra da capogiro, come le reali necessità finanziarie… non per niente, tuttavia, il testo passato alla Camera giace negletto al Senato.
Ci prova il Fai (Fondo ambiente italiano) a censire il salvabile dell’immenso patrimonio italiano di arte, natura e paesaggio per promuoverne la tutela, la conservazione e la valorizzazione, ma è ovvio che volontariato e generosità privati possono ben poco di fronte alle immense necessità. Che cresca la sensibilità pubblica su questo enorme potenziale, anche economico, è indubbio e gradito al Comune di Venzone, il riconoscimento, ricevuto come un grosso uovo di Pasqua, da parte del programma Rai «Kilimangiaro » nel quale al borgo friulano è stato accreditato il primo premio in Italia.
Notizie come queste portano inequivocabilmente il mio pensiero alle nostre valli ed allo stato in cui versano, ma soprattutto suscitano l’intrinseca preoccupazione sul loro futuro.
Bello sarebbe poter applicare anche ai fatti nostri il senso dello «Small is beautiful - Piccolo è bello» dello scrittore E.F. Schumacher, il quale già 45 anni fa metteva in discussione il paradigma occidentale moderno, imperniato sul consumismo, sulla grande industria ed il centralismo organizzativo, anticipando alcune tematiche ecologiste che ultimamente vengono rimesse in luce. Il rischio è che il nostro «piccolo» si riduca tanto da scomparire del tutto.
I 150 insediamenti abitativi delle Valli del Natisone, tra centri e nuclei, che i censimenti di una volta evidenziavano singolarmente, oggi vengono nominati come «vie» di un qualsiasi paese, stanno perdendo una loro propria identità, perdendosi nell’insieme matematico del Comune di appartenenza, il quale si perde nell’insieme più comprensivo come la Comunità montana, la Provincia – oggi Uti –, o come appendice di nomi più conosciuti, il Cividalese.
E me la pongo la domanda: anche venisse approvata la legge per i piccoli comuni, quale possibile infinitesimale pezzettino della torta promessa potrebbe finire oltre le sponde cividalesi del Natisone?
Nelle condizioni attuali, dove il senso di appartenenza ad una «comunità » specifica – tra l’altro riconosciuta anche da una legge dello Stato, la 38/2001, che tutela la comunità slovena – è l’ultima delle chances presa in considerazione dalla gente e dai rispettivi amministratori; dove non si ha la minima volontà concreta di fare una qualche massa critica anche in considerazione della ristrutturazione amministrativa regionale, che abolisce la Provincia e costituisce la Uti, quali possono essere le possibili prospettive alternative all’eutanasia?
I numeri mostrano l’inesorabile parabola discendente a precipizio. Ma se togliamo l’unico valore che ci distingue e caratterizza rispetto agli altri territori montani, cioè la nostra identità etnolinguistica e culturale slovena, che speranza possiamo avere non solo di sopravvivere, ma riscattarci e rinascere?
Qui da noi il Fai dovrebbe intervenire per ristrutturare non i monumenti o la tanto decantata «natura incontaminata», ma le nostre teste malate di sindrome di Stoccolma o, in termini psicanalitici, di identificazione con l’aggressore. Perché non renderci conto che essere italiani non vuol dire rifiutare di essere ciò che siamo da sempre, sloveni.
fonte Dom del 30 aprile 2017

2 commenti:

  1. Cara Olga, trovo molto interessante questo post, pensando che le proprie idee diventino sindrome bisogna crederci forte!!!
    Ciao e buona notte con un abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

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  2. Borghi con la sindrome di Stoccolma

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