15 mar 2018

Alle urne senza identità - Pri volitvah identiteta ni prišla do izraza

Il comportamento elettorale rappresenta un elemento particolare di un atteggiamento sociale più generale, perciò non ci dobbiamo meravigliare se esso esprime le stesse contraddizioni, che caratterizzano ogni altro comportamento e danno un’impressione di incoerenza.
I risultati delle recenti elezioni politiche nei diciotto comuni, da Tarvisio a Prepotto, nei quali è riconosciuta e tutelata la minoranza slovena, non si discostano da quelli registrati nel resto del Friuli Venezia Giulia e, grossomodo, nell’Italia settentrionale. Stridono, perciò, nel confronto con altre aree abitate da minoranze linguistiche, come l’Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta, ma anche con i comuni a maggioranza slovena delle province di Trieste e Gorizia.
Il quei territori, infatti, l’identità etnico-linguistica si esprime ancora come uno dei fattori fondamentali del comportamento elettorale. Soprattutto in Sudtirolo, sembra che l’identità rappresenti (quasi) tutto. Nel concreto, essa non è un’appartenenza astratta o un semplice desiderio di conservare le proprie tradizioni e la propria lingua, ma rappresenta un efficace modello di solidarietà sociale e di approccio al proprio territorio, nel quale conservare e sviluppare gli elementi della propria esistenza, dando loro anche solide basi economiche. L’identità dà, in definitiva, le fondamenta sulle quali costruire il futuro.
Il questo senso, difendere la propria autonomia significa in primo luogo difendere il proprio territorio, inteso come luogo materiale e culturale visibile e invisibile, e la propria identità in un mondo che questi aspetti non sa più riconoscere e rispettare. E forse proprio per questo queste regioni sono tra le più ricche e meglio amministrate dell’intera Europa.
Ciò non vale per gli sloveni della provincia di Udine, che non sono più un elemento compatto, territorializzato e strutturato. Al contrario, la minoranza si presenta come estremamente sfilacciata e soggetta alle dinamiche della «maggioranza », cioè molto avanti sulla via dell’assimilazione. Se non sotto il profilo linguistico, certamente sotto quello culturale.
Noi sloveni della provincia di Udine da molti secoli viviamo sotto il dominio veneto-italiano e l’influsso della sua cultura. In parte con l’eccezione della Valcanale, da secoli ne siamo fortemente contaminati e già sembra un miracolo l’essere riusciti a conservare la nostra lingua. In ogni caso non rappresentiamo nemmeno lontanamente un corpo compatto. Anche per questo, come minoranza, è necessario inventarci nuove modalità operative. Ancor più nei tempi contemporanei, nella cosiddetta «società liquida», che allontana dai modelli che un tempo si fondavano su un solido substrato identitario, anche materiale e territoriale. Fino a poco tempo fa, la scelta di uno schieramento politico, la preferenza per un determinato candidato, l’opzione per un’ideologia o una linea politica dipendevano da diversi fattori (territorio, appartenenza sociale o etnica ecc.) e più in generale avevano un certo significato nei confronti di una collocazione sociale o perseguivano qualche interesse materiale a livello sia individuale, sia territoriale. Ciò dava stabilità, continuità e speranza che i vari livelli istituzionali potessero dare risposte concrete (anche se non necessariamente efficaci) alle esigenze, delle quali si era portatori. Il voto era influenzato, perciò, da una ben definita paletta di fattori, tradizioni e valori e, più raramente, l’espressione di una libera opinione pubblica, in senso borghese o liberale.
Sembra che attualmente tutto questo non rivesta alcun significato, in quanto è venuto meno il nesso con una causa ben definita, o almeno non si riesce a capire quale sia.
Le analisi, infatti, mostrano come i cittadini decidano a chi destinare il proprio voto all’ultimo momento, senza aver compiuto una seria riflessione, senza subire l’influsso della territorialità e di elementi simili, in primo luogo dei fattori fondanti (identità o senso di appartenenza a una territorialità originaria). In tal modo l’espressione del voto diventa non molto più di un’occasione per esprimere scontento, rabbia e rancore.
Lo ipotizzano o certificano i sondaggi d’opinione in tutta Italia. Ma questo atteggiamento è diventato cifra caratteristica di tutte le democrazie di «lungo corso», in quanto hanno perso l’originaria qualità politica e nelle quali sembra che i vari attori politici abbiano perso il vero ruolo di rappresentanza delle istanze.
In definitiva, i cittadini si sono convinti che i problemi reali siano presenti ovunque e nessuno sia più in grado di risolverli. Così arriviamo al paradosso dell’attesa che la politica si occupi il meno possibile dei problemi delle persone.
Igor Jelen (docente di Geografia economica e politica all’Università di Trieste)

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