20 ott 2018

Benecia e Resia da 152 anni in Italia

vignetta di Moreno Tomazetig

Il 21 e 22 ottobre del 1866, centocinquantadue anni fa, il plebiscito sancì l’ingresso della Slavia (Valli del Natisone e del Torre) nel Regno d’Italia. Il «voto» fu in realtà una formalità, una gran festa, dopo che questi territori erano stati ceduti, con gli interi Friuli e Veneto, dall’Austria in virtù del trattato di pace firmato il 3 ottobre a Vienna. In ogni caso, i valligiani, i primi sloveni a entrare in Italia, aderirono con convinzione al Risorgimento italiano, dopo che l’Austria aveva negato loro l’autonomia della quale avevano goduto nella Repubblica di Venezia. Ma gli entusiasmi furono ben presto gelati. «Questi Slavi bisogna eliminarli», sentenziava il «Giornale di Udine» («Ufficiale pegli Atti giudiziari ed amministrativi della Provincia del Friuli») in data 22 novembre 1866, un mese dopo l’annessione della regione all’Italia. E spiegava: «Non faremo però nessuna violenza; ma adopereremo la lingua e la coltura di una civiltà prevalente quale è l’italiana per italianizzare gli Slavi in Italia, useremo speciali premure per migliorare le loro sorti economiche e sociali, per educarli, per attirarli a questa civiltà italiana che deve brillare ai confini tra quegli stessi che sono piuttosto ospiti nostri». E ancora: «Supponiamo che tutti i giovanetti slavi che appartengono alla provincia di Udine sopra Cividale, Faedis, Attimis e Tarcento e nella Valle di Resia venissero istruendosi alla lingua e coltura italiana, e che in quelle valli si leggessero libri popolari italiani, è certo che la trasformazione sarebbe accelerata, e che colla nuova generazione si parlerebbe la nostra lingua da per tutto». Fu la pianificazione di un vero e proprio etnocidio, poi perseguito per oltre cento anni. In lotta soprattutto con la Chiesa locale, fedele custode delle radici culturali sulle quali Aquileia aveva innestato la fede cristiana. Tanti furono gli atti di violenza contro l’uso dello sloveno. Culminarono nel 1933 con il decreto di Mussolini che lo proibiva anche nelle chiese. I carabinieri andarano di casa in casa a sequestrare catechismi e libri devozionali. Poi arrivò la bufera della seconda conflitto mondiale, seguita dagli «anni bui» della guerra fredda in cui era facile propagandare l’equazione sloveno-comunista.  Così che si può gridare al miracolo se oggidì ancora si parlano dialetti sloveni nella Slavia friulana e Resia, con buona pace di coloro che pretendevano di escludere la provincia di Udine dai benefici della legge di tutela, arrivata solo nel 2001, perché i valligiani non usano la lingua slovena standard che si apprende a scuola. E. G.
continua in sloveno https://www.dom.it/benecija-in-rezija-150-let-v-italiji_benecia-e-resia-da-150-anni-in-italia/

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