10 giu 2016

Danza delle pesche e dell’orrore

Quattro pesche, fresche, ambrate e rosee, con la buccia da far venire i brividi sui polpastrelli, stanno ferme a farsi ammirare in una fiorita cesta barocca.
Il bambino ha occhi grandi e perciò attenti a ogni piccolo spostamento, o rumore, che possa svelare agli adulti la sua presenza davanti al cesto invitante e traboccante. In lui trionfa la voglia di andare contro la regola del mangiare soltanto nelle ore dei pasti. E… non ci sono più quattro pesche a farsi ammirare tra i tanti fronzoli del cesto, una di esse è rotolata nella bocca e poi, giù giù, fin dentro alla pancia di un burattino rosso e grigio. Unico compagno di giochi di quel bambino. Una seconda pesca, allo stesso modo, è invece terminata nello stomaco dell’amico di giochi di quel burattino. Felici di averla fatta franca agli orari, ai grandi, ora non hanno più fame. Il giocattolo sta immobile a pancia in sù. Il bambino invece si lamenta, si gratta, si piega e piange. Sulla pelle già appaiono bolle rosse e fastidiose.
Chi porterà le cure al bambino? Si chiede il canarino giallo dentro la sua gabbia. Il bimbo piange, l’uccello canta. Al burattino di legno il verso continuo del canarino non da fastidio. L’orticaria invece da molto fastidio a Valentino e anche il continuo cantare del giallo pennuto. Eppure, gemendo e borbottando si alza quanto basta per aprire la porta della gabbia e lasciare andare via il canarino cantante. E quest’ultimo guarda stupito la novità e poi mette il suo piccolo capo appena fuori dal confine della gabbia e non gli pare vero. Un quasi piccolo inchino e poi via, volando basso verso la finestra, ma cantando ancora più forte, anzi fortissimo.
Subito dopo, improvvisamente, tutto tace.
La mamma, svegliata dai singhiozzi, da pianti, cinguettii e urla, deve proprio alzarsi e raggiungere la sua cucina. Trovandola tutta sottosopra chiama Valentino, senza ottenere risposta. Insiste ancora. Non accorgendosi di quella flebile vocina che dice: Mamma, mamma, sono qui dentro. Dentro il pancino del canarino. Fammi uscire, il canarino giallo mi ha mangiato e subito dopo è rientrato nella gabbia dalla quale, io, lo avevo fatto uscire.
ll gatto dal pelo rosso mattone e il babbo, che pure tiene lo stesso colore a causa della vestaglia che indossa, giungono assieme, quasi trottando; giunti in cucina, il gatto miagolando chiede latte e l’uomo parlando chiede caffè. Per la mamma non è facile spiegare a entrambi che hanno perso il figlio. Poco convito dall’esposizione dei fatti, al gatto non pare vero che nessuno gli tirerà più la coda, o peggio, non subirà le torture al naso e nemmeno i lanci dalla finestra per dimostrare che lui sa sempre cadere in piedi.
I genitori capiscono che la colazione e la mattinata sono rovinate. Seduti, in silenzio bevono quel caffè atteso mentre cercano di pianificare le ricerche da fare. Così esplorano con cura le stanze di casa, guardano nelle scatole, nelle cose, nella pattumiera, nelle tasche del cappotto grande, dentro il fustino del detersivo, nella lavatrice, nel forno e in ogni piega o angolo di se stessi.Valentino, però, non c’è. Mezzogiorno si avvicina, il gatto è riuscito ad aprire la porta della gabbia e si mangia il canarino. Ecco, proprio ora sta suonando mezzodì.
La madre invita il marito a sedersi al tavolo per consumare un piatto di brodo caldo con una fetta di polenta. Nella luce del primo mattino hanno perso il figlio e pure il canarino.
2) – Terminato il cibo, l’uomo prende da un cassetto sotto il tavolo da pranzo, la piantina geografica del suo quartiere. La mamma, invece, ha estratto una scatola nera. Così ora si giocano, in una partita a domino, le zone da esplorare conficcando bandierine colorate sulla mappa.
Prima d’uscire, ognuno per la sua strada, si danno appuntamento per ora di cena, nella cucina, sotto gli occhi delle pesche rimaste. Testimoni silenziose di quanto accaduto. Sempre lì, nella cucina dove il gatto rosso mattone, dorme satollo.
Passano inesorabili tutte le ore pomeridiane e giunge, precisa, l’ora di cena. L’ora di ritrovarsi, l’ora in cui tutte le ricerche del mondo si fermano per far posto alla mensa e all’incontro.
Nella casa il tempo è scandito da una pendola, vecchia, tornita e polverosa, appesa al muro sul corridoio. Come tutti si aspettano, scoccano come bronzee frecce i rintocchi delle ore sette. Uno, due, tre, quattro, cinque, … Solo cinque colpi, vuoi le vibrazioni, vuoi il peso, ma l’antico chiodo al muro non ha più retto il tempo. Le vecchia pendola non è più appena alla parete, non segna più il tempo di quella casa, non avrà altra polvere sui suoi pomelli e ingranaggi, ma più un orologiaio entrerà nelle sue meccaniche. E i rintocchi non si sono espansi, per intero, nelle stanze della casa riempiendole di riverberi metallici. Il fragore dell’oggetto caduto ha però destato il gatto ed ora miagola forte. Ha di nuovo fame.
La più puntuale a giungere all’appuntamento è la donna. E’stanca e dopo aver aperto la porta di casa si trova di fronte un nuovo inatteso putiferio. Sconsolata porta le mani alla testa, quasi piange, ma si trattiene morsicandosi un’unghia che immediatamente sputa. Mordendosi le labbra per non urlare, si abbassa con il plausibile intento di raccogliere i resti di colei che per anni ha misurato i suoi cicli, dandole un solo Valentino.
Accanto ha il gatto, la la signora non lo prende in considerazione. Il felino, mosso da un istinto famelico, con un balzo gli è addosso e i suoi artigli vanno ad ancorandosi alle sue carni. Nello spazio di tempo,paragonabile a quanto dura l’operazione del garzone dell’edicola nel lanciare il giornale pedalando sulla bicicletta azzurra, quel gatto si mangia pure la mamma.
Con un ritardo impossibile da calcolare a causa della pendola rotta, arriva a casa il padre. Il suo passo non è trotterellante come lo era al mattino. Rischia d’inciampare sui cocci, nelle ranelle dentate e sulle schegge di legno della pendola. Imprecando chiama sua moglie, ha fame, non ha trovato suo figlio, nè il canarino, non c’è sua moglie, non è pronto nulla in tavola, nessuno a fatto la spesa. – Ho fame. –  Grida. Prende il gatto e lo mangia. Crudo, scartando la testa e la coda come si usa fare con il pesce.
Completa, infine, il pasto con una delle due pesche e si rassegna agli eventi. Pela il frutto – da bambino soffriva di orticaria – e gettate le bucce per terra, la gusta. Finalmente prende una saggia decisione: telefona alla polizia. Solo loro, ora, possono fare luce su tutto. Convinto del suo gesto risolutore si alza per raggiungere l’apparecchio. Al secondo passo il suo piede destro si posa su una delle bucce di pesca maldestramente gettate fuori posto. Il piede scivola, l’uomo s’impenna gambe all’aria con le mani che arrancano nel vuoto. Tutto inutile. E’rimasto a terra, in un mare di purpureo sangue, uscito assieme alle cartillagini dalla testa fracassata contro il telefono stesso.
Una scena orribile: sangue, la cornetta del telefono staccata dal suo filo ombelicale, cervella sul freddo marmo lucido, cocci di pendola, scarpe di donna, ossa di gatto, lingua di canarino, gli occhi di Valentino, tre noccioli di pesca e una piccola, maligna, buccia rossa.
 – Orribile.- Ha esclamato il capitano della rionale stazione di polizia. Terminati i loro controlli, tolto il cadavere e fatto tutto ciò che era di loro stretta competenza, chiude dietro se la porta, ponendovi i sigilli d’uso.
Nella grande casa vuota rimane soltanto un profondo silenzio, un cesto per la frutta a foggia barocca contenente una pesca. Ora agguantata da un burattino di legno rosso e grigio che piange, in silenzio, la sua inerme testimonianza.https://durigatto.wordpress.com/2016/06/06/httpsdurigatto-wordpress-com2016060297-danza-delle-pesche-e-dellorrore3/
Da: Pillole e altre fantasie di Dino Durigatto - Campanotto Editore - 1997 (primo disegno, sopra) Federico Barile, disegno per Danza delle Pesche...

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