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Recenti ricerche rivelano interessanti caratteristiche nutrizionali per il latte di capra, un prodotto caseario sin’ora definito “ di nicchia “, quasi esclusivamente gustato come formaggio.
Nel latte di capra infatti la percentuale di caseina alfa 1 è molto bassa, ed è paragonabile al latte umano, dove la caseina alfa 1 (ad elevato potere allergizzante) è assente e comporta la formazione di un coagulo più soffice e più rapidamente attaccato dai succhi gastrici.
Uno studio sugli aminoacidi liberi ha evidenziato un’elevata percentuale di taurina: tale aminoacido svolge un ruolo importante sull’accrescimento e sullo sviluppo cerebrale dei bambini.
Anche la frazione lipidica risulta più digeribile, sia per le ridotte dimensioni dei globuli di grasso, sia perché è più ricca di acidi grassi a catena corta e media (acido caproico, caprilico e caprico) che permettono un maggior coefficiente di assorbimento intestinale rispetto al latte vaccino.
Secondo alcuni studi presentati a Udine al Convegno S.I.S.A. (Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione) gli acidi grassi a catena corta inibirebbero l’accumulo di colesterolo nei tessuti favorendone la mobilizzazione dai depositi. La frazione lipidica del latte di capra è caratterizzata inoltre da un elevato contenuto in CLA (acido linoleico coniugato), molecola cui sono riconosciute proprietà anticancro ed attività protettive per patologie connesse con il diabete e l’apparato cardiovascolare.
Per quanto riguarda le vitamine bisogna tener presente un buon contenuto di quelle del gruppo B e un minor quantitativo di acido folico e B12, per cui un consumo esclusivo e protratto di latte di capra richiede un’integrazione. Per gli elementi minerali va sottolineato un ricco contenuto di calcio, fosforo, potassio, magnesio, per cui nei bambini alimentati con latte caprino è emersa una miglior compattezza del tessuto osseo.
Tra i latti destinati all’alimentazione dell’infanzia sono approvati dalla normativa vigente il latte vaccino idrolisato e le formulazioni di soia o di riso adattate. Nessun riferimento viene fatto al latte di capra che rivela invece interessanti possibilità di impiego soprattutto come alternativa nelle intolleranze alle proteine del latte vaccino (sotto controllo medico, per evitare il rischio di reazioni crociate).
Il latte di capra avrà senz’altro un futuro perché, migliorando le conoscenze, sarà possibile un recupero di aree montane e zone rurali semi abbandonate, uno sviluppo di piccole e medie aziende casearie, la valorizzazione di latticini e formaggi squisiti. Ovviamente sarà necessario puntare sulla qualità, aggiornare le normative, classificare le razze, chiarire il quadro microbiologico, migliorare le tecniche di allevamento con possibilità di accedere ad aiuti comunitari.
E’ bene ricordare che nella preistoria il primo latte munto è stato quello di capra, prima ancora di quello di pecora, e probabilmente l’arte casearia fu applicata inizialmente al caprino. Il successo e la grande diffusione del latte bovino sono stati dettati da motivi economici (maggior facilità di ottenere grandi quantitativi) e dal legislatore che non ha mai prestato attenzione al problema: ancora oggi vige un Regio Decreto del 1929 che prevede l’esclusione dal pascolo delle capre dalle zone boschive, e un contenuto di grasso non inferiore al 3,25 %, mentre il latte di capra della razza Saanen ha un contenuto medio di grasso del 3 %.
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