Sull’autonomia amministrativa e giudiziaria delle Valli del Natisone ai tempi della Repubblica di Venezia è stato ricercato e scritto molto: dalla Slavia Italiana di Carlo Podrecca del 1884, che rimane un caposaldo fondamentale per quanti vogliano conoscere gli istituti di autogoverno della Slavia, negli ultimi decenni numerosi storici sloveni e italiani – Bogo Grafenauer, Sergij Vilfan, Hernik Tuma, Vasilij Melik, Carlo Guido Mor, Giovanni Maria Del Basso, Amelio Tagliaferri, Carlo Daveggia, Massimo Zoppi… – si sono cimentati in nuove ricerche nel tentativo di approfondire e tracciare un quadro quanto più chiaro dal punto di vista storico e giuridico del sistema di istituzioni, norme, consuetudini che regolavano la vita sociale degli Schiavoni veneti dal 1420 al 1797.
A questa eminente schiera di studiosi si è ora aggiunta la giovane storica slovena Ines Beguš, che di recente ha pubblicato la sua tesi di dottorato conseguito presso il Centro di ricerche scientifiche e la Facoltà di studi umanistici dell’Università del Litorale di Capodistria. La tesi è stata pubblicata in sloveno – Avtonomija in ekonomija Nadiških dolin v Beneški republiki – e in italiano – Autonomia ed economia delle Valli del Natisone nella Repubblica di Venezia – dalle Edizioni universitarie Annales di Capodistria (2015) con il finanziamento europeo nell’ambito del progetto Shared Culture.
Il lavoro di Ines Beguš è importante per due aspetti. Prima di tutto perché l’autrice non si è accontentata consultare la pur vasta bibliografia in materia, ma ha utilizzato nuovo materiale presente negli Archivi di Stato di Udine e di Venezia, nella Biblioteca nazionale marciana di Venezia e lo Steiermärkisches Landesarchiv di Graz, grazie al quale è riuscita a dare un importante contributo alla soluzione di quesiti lasciati in sospeso dalle precedenti pubblicazioni riguardo a istituzioni, ruoli e figure giuridiche, luoghi dove si amministrava la cosa pubblica e la giustizia. In secondo luogo perché il lavoro rappresenta il primo tentativo di una ricostruzione complessiva del sistema economico delle Valli del Natisone in epoca veneziana.
Grazie a questo nuovo approccio scientifico Ines Beguš – come giustamente ha scritto il prof. Aleksander Panjek nella prefazione – «ha fatto raggiungere un nuovo livello qualitativo alla conoscenza delle caratteristiche storiche delle Valli del Natisone. Come ogni lavoro storico importante, non fornisce una risposta solamente a questioni esistenti, ma ne apre e ne indica anche di nuove che rimangono aperte. Sono persuaso che il presente lavoro sposti il punto di partenza per ricerche future di diversi passi in avanti, e inoltre offra le conoscenze che rendono sostanzialmente più fondato il confronto con altre realtà, sia in terre slovene che italiane e un’adeguata collocazione delle valli nelle storia del più ampio spazio alpino».
L’autrice ha organizzato il suo lavoro in tre capitoli fondamentali: Autonomia e privilegi delle valli di Antro e Merso, Economia delle Valli del Natisone e Rapporto fra autonomia istituzionale ed economia nelle Valli del Natisone.
Nel primo capitolo Ines Beguš approfondisce il ruolo delle istituzioni che regolavano la vita sociale degli Schiavoni veneti sopra Cividale: la gastaldia, già attiva in epoca patriarcale, che esercitava funzioni di ordine pubblico e riscossione delle tasse, l’ordinamento amministrativo alla cui base stavano le vicinie – sosednje, ovvero le assemblee delle comunità di villaggio che avevano il compito di amministrare i beni comuni, provvedere alle necessità della chiesa ed esercitare la funzione giudiziaria in casi di «bassa giustizia»; c’erano poi gli arenghi che riunivano i decani delle due convalli: presso la chiesa San Quirino (San Pietro) quelli di Antro, presso la chiesa di Sant’Antonio (Merso Superiore) quelli di Merso ed avevano il compito di trattare di affari di comune interesse al territorio di propia competenza; infine l’arengo grande che almeno una volta l’anno si radunava presso la chiesa di San Quirino per prendere decisioni di carattere generale, in particolare sui rapporti con le autorità centrali della Serenissima.
Sulla base di un’attenta lettura dei documenti l’autrice attribuisce ruoli precisi a figure che agivano all’interno di questi tre livelli istituzionali e che finora erano rimaste per lo più confinate nel limbo delle questioni da risolvere. Si viene così a sapere che tra le diverse funzioni dei decani c’era anche quella di occuparsi della pubblica sicurezza, di proclamare gli obblighi fiscali e raccogliere le pene pecuniarie; che i camerari amministravano i patrimoni delle chiese ed avevano la facoltà di convocare e presiedere le vicinie che trattavano di questi temi; che i giurati avevano la funzione di riferire alle autorità superiori le delibere prese nelle assemblee; che il compito dei procuratori era quello di intervenire a nome delle comunità in caso di dispute con altri organi rappresentativi; che i sindici venivano eletti dagli arenghi per rappresentare una convalle o l’intera Schiavonia davanti alle autorità anche a Venezia…
Nel capitolo riguardante l’amministrazione della giustizia nei luoghi chiamate Banche – le due principali erano quelle di Antro e di Merso – vengono chiarite le funzioni intermedie della «lastra» di Tarcetta, alla quale facevano capo le comunità di Biacis, Spignon, Pegliano, Tarcetta, Lasiz ed Erbezzo con Montefosca (si tratta di quelle frazioni che all’inizio del ‘700 daranno vita alla cappellania di Antro e in epoca napoleonica formeranno il comune di Tarcetta) e della Banca di Drenchia che era composta da dodici capi maso, cioè dai rappresentanti delle aziende agricole più antiche del luogo che avevano origine nel medioevo.
Come già accennato, risulta di particolare interesse il capitolo riguardante la ricostruzione del sistema economico della Slavia nella Repubblica di Venezia basato sullo sfruttamento delle risorse naturali. L’autrice esamina le caratteristiche strutturali dell’agricoltura: le colture e i modi di coltivazione, i terrazzamenti, l’allevamento del bestiame e lo sfruttamento delle superfici a pascolo e dei boschi, l’alpeggio e l’allevamento in stalla, il commercio dei prodotti della terra e del legname nonché i vari tipi di contratti d’affitto delle proprietà dei signori o di enti ecclesiastici (in questo caso viene presa in esame la grande proprietà del monastero di Santa Maria in Valle di Cividale divisa in masi tra le famiglie di Vernassino).
Infine va segnalato il capitolo riguardante il rapporto tra l’autonomia istituzionale e l’economia della Slavia, vale a dire se e come i due sistemi interagivano, quali erano i legami tra di loro e se economia e autogoverno costituivano un sistema funzionale unitario. Si viene così a sapere che la comunità di Erbezzo concesse in affitto boschi di proprietà comune in cambio di denaro; che la vicinia di Azzida decise di costruire a Ponte San Quirino un’osteria e un luogo di sosta per commercianti per ricavarne un reddito anche con lo smercio dei prodotti locali, in particolare dei vini «che per lo più, e quasi ogni anno, e specialmente negli anni d’abbondanza restano invenduti con grave danno dei vicini».
A questa eminente schiera di studiosi si è ora aggiunta la giovane storica slovena Ines Beguš, che di recente ha pubblicato la sua tesi di dottorato conseguito presso il Centro di ricerche scientifiche e la Facoltà di studi umanistici dell’Università del Litorale di Capodistria. La tesi è stata pubblicata in sloveno – Avtonomija in ekonomija Nadiških dolin v Beneški republiki – e in italiano – Autonomia ed economia delle Valli del Natisone nella Repubblica di Venezia – dalle Edizioni universitarie Annales di Capodistria (2015) con il finanziamento europeo nell’ambito del progetto Shared Culture.
Il lavoro di Ines Beguš è importante per due aspetti. Prima di tutto perché l’autrice non si è accontentata consultare la pur vasta bibliografia in materia, ma ha utilizzato nuovo materiale presente negli Archivi di Stato di Udine e di Venezia, nella Biblioteca nazionale marciana di Venezia e lo Steiermärkisches Landesarchiv di Graz, grazie al quale è riuscita a dare un importante contributo alla soluzione di quesiti lasciati in sospeso dalle precedenti pubblicazioni riguardo a istituzioni, ruoli e figure giuridiche, luoghi dove si amministrava la cosa pubblica e la giustizia. In secondo luogo perché il lavoro rappresenta il primo tentativo di una ricostruzione complessiva del sistema economico delle Valli del Natisone in epoca veneziana.
Grazie a questo nuovo approccio scientifico Ines Beguš – come giustamente ha scritto il prof. Aleksander Panjek nella prefazione – «ha fatto raggiungere un nuovo livello qualitativo alla conoscenza delle caratteristiche storiche delle Valli del Natisone. Come ogni lavoro storico importante, non fornisce una risposta solamente a questioni esistenti, ma ne apre e ne indica anche di nuove che rimangono aperte. Sono persuaso che il presente lavoro sposti il punto di partenza per ricerche future di diversi passi in avanti, e inoltre offra le conoscenze che rendono sostanzialmente più fondato il confronto con altre realtà, sia in terre slovene che italiane e un’adeguata collocazione delle valli nelle storia del più ampio spazio alpino».
L’autrice ha organizzato il suo lavoro in tre capitoli fondamentali: Autonomia e privilegi delle valli di Antro e Merso, Economia delle Valli del Natisone e Rapporto fra autonomia istituzionale ed economia nelle Valli del Natisone.
Nel primo capitolo Ines Beguš approfondisce il ruolo delle istituzioni che regolavano la vita sociale degli Schiavoni veneti sopra Cividale: la gastaldia, già attiva in epoca patriarcale, che esercitava funzioni di ordine pubblico e riscossione delle tasse, l’ordinamento amministrativo alla cui base stavano le vicinie – sosednje, ovvero le assemblee delle comunità di villaggio che avevano il compito di amministrare i beni comuni, provvedere alle necessità della chiesa ed esercitare la funzione giudiziaria in casi di «bassa giustizia»; c’erano poi gli arenghi che riunivano i decani delle due convalli: presso la chiesa San Quirino (San Pietro) quelli di Antro, presso la chiesa di Sant’Antonio (Merso Superiore) quelli di Merso ed avevano il compito di trattare di affari di comune interesse al territorio di propia competenza; infine l’arengo grande che almeno una volta l’anno si radunava presso la chiesa di San Quirino per prendere decisioni di carattere generale, in particolare sui rapporti con le autorità centrali della Serenissima.
Sulla base di un’attenta lettura dei documenti l’autrice attribuisce ruoli precisi a figure che agivano all’interno di questi tre livelli istituzionali e che finora erano rimaste per lo più confinate nel limbo delle questioni da risolvere. Si viene così a sapere che tra le diverse funzioni dei decani c’era anche quella di occuparsi della pubblica sicurezza, di proclamare gli obblighi fiscali e raccogliere le pene pecuniarie; che i camerari amministravano i patrimoni delle chiese ed avevano la facoltà di convocare e presiedere le vicinie che trattavano di questi temi; che i giurati avevano la funzione di riferire alle autorità superiori le delibere prese nelle assemblee; che il compito dei procuratori era quello di intervenire a nome delle comunità in caso di dispute con altri organi rappresentativi; che i sindici venivano eletti dagli arenghi per rappresentare una convalle o l’intera Schiavonia davanti alle autorità anche a Venezia…
Nel capitolo riguardante l’amministrazione della giustizia nei luoghi chiamate Banche – le due principali erano quelle di Antro e di Merso – vengono chiarite le funzioni intermedie della «lastra» di Tarcetta, alla quale facevano capo le comunità di Biacis, Spignon, Pegliano, Tarcetta, Lasiz ed Erbezzo con Montefosca (si tratta di quelle frazioni che all’inizio del ‘700 daranno vita alla cappellania di Antro e in epoca napoleonica formeranno il comune di Tarcetta) e della Banca di Drenchia che era composta da dodici capi maso, cioè dai rappresentanti delle aziende agricole più antiche del luogo che avevano origine nel medioevo.
Come già accennato, risulta di particolare interesse il capitolo riguardante la ricostruzione del sistema economico della Slavia nella Repubblica di Venezia basato sullo sfruttamento delle risorse naturali. L’autrice esamina le caratteristiche strutturali dell’agricoltura: le colture e i modi di coltivazione, i terrazzamenti, l’allevamento del bestiame e lo sfruttamento delle superfici a pascolo e dei boschi, l’alpeggio e l’allevamento in stalla, il commercio dei prodotti della terra e del legname nonché i vari tipi di contratti d’affitto delle proprietà dei signori o di enti ecclesiastici (in questo caso viene presa in esame la grande proprietà del monastero di Santa Maria in Valle di Cividale divisa in masi tra le famiglie di Vernassino).
Infine va segnalato il capitolo riguardante il rapporto tra l’autonomia istituzionale e l’economia della Slavia, vale a dire se e come i due sistemi interagivano, quali erano i legami tra di loro e se economia e autogoverno costituivano un sistema funzionale unitario. Si viene così a sapere che la comunità di Erbezzo concesse in affitto boschi di proprietà comune in cambio di denaro; che la vicinia di Azzida decise di costruire a Ponte San Quirino un’osteria e un luogo di sosta per commercianti per ricavarne un reddito anche con lo smercio dei prodotti locali, in particolare dei vini «che per lo più, e quasi ogni anno, e specialmente negli anni d’abbondanza restano invenduti con grave danno dei vicini».
Avtonomija in ekonomija Nadiških dolin v Beneški republiki je tema doktorske naloge mlade slovenske zgodovinarke Ines Beguš na Univerzi na Primorskem v Kopru. Zdaj je izšla v slovenščini in italijanščini.
Slavia autonoma, nuova ricerca
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