13 DICEMBRE 2011
Da odio e rancore
Riccardo Ruttar
Da odio e rancore
non può nascere amore
Sarebbe stato un sabato qualunque, il 3 dicembre. Una pioggerellina a tratti insistente, sotto una cappa nebbiosa che invitava a starsene a casa. E avrebbe fatto bene a farlo quel gruppetto di esagitati che stazionava nascosto nell’atrio semibuio del municipio di San Pietro - Špietar, a far cucù dietro bandiere italiane e fiammate tricolori. A far da scudo come tutt’altro che estemporanea trincea un emblematico straccio bianco con scritta cubitale: “Il vostro odio e rancore fanno crescere il nostro amore: Italia”. Ed il marchio a fiamma tricolore. In foto ne conto una dozzina, tutti abbastanza giovani per non aver sperimentato i tempi delle leggi razziali. Peccato, per loro, che siano nostalgici di ideali e comportamenti che uno come Gianfranco Fini già definì come «male assoluto». Uno che di queste cose se ne intende ben più di loro. Ma, tant’è, la Benečija o Slavia, o comunque la si voglia chiamare, non manca di contraddizioni: è una contraddizione. Ad iniziare da questo fatto, che se non fosse sintomo di una malattia mentale, purtroppo, ancora diffusa, susciterebbe l’ilarità o magari compassione.
Basta rileggere il lenzuolo marchiato. Odio e rancore che fan nascere «amore»? Le parole in sé potrebbero avere anche un senso; ciò che non quadra sono le attribuzioni. Cosa ci sia di «odioso e rancoroso» in una celebrazione culturale del 150° dell’Unità d’Italia, nello studio dei percorsi storici risorgimentali che ci riguardano, vorrei chiederlo a loro, non all’Inštitut za slovensko kulturo, che aveva organizzato il convegno dal ghiotto titolo: «Echi ed effetti del Risorgimento e dell’Unità d’Italia sul confine orientale». Ma, si sa, per poter ragionare con siffatte squadre bisognerebbe scendere alla loro capacità di comprensione, che raramente va al di là del manganello, inteso in tutti i sensi.
Sarebbe un atto d’amore per l’Italia, quello di entrare alla spicciolata nella sala comunale e alla pronuncia da parte del relatore del nome di Balbo (da precisare: Cesare, non il fascista Italo. Ma qui l’ignoranza pare endemica) intonare l’inno nazionale? Per quale Italia? Ovviamente per quella del male assoluto! D’accordo, è difficile amare l’Italia che abbiamo oggi, ma è sempre migliore di quella d’allora. Usare la bandiera come manganello e l’inno nazionale come offesa dei diritti costituzionali, questo si che è un atto concreto di odio e, in questo caso, di odio razziale.
La cosa buffa è che i nostri eroi, campioni dell’antistoria, almeno quelli che conosco, volenti o nolenti fanno parte della «razza» odiata slovena, comunque la chiamino. Basta leggere i loro cognomi. Me li immagino guardarsi allo specchio, e, in un momento di lucidità e consapevolezza, sferrare un pugno contro l’immagine davanti. Se non lo facessero per lo meno mancherebbero di coerenza. (www.dom.it)
Si resta attoniti di fronte a certa gente. Penso alla limitatezza del loro mondo, all'incapacità di usare il pensiero, alla rabbia che non sanno come diversamente usare
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