Rivolta contadina
Tolminski punt
All’inizio del XVIII secolo la situazione economica dei contadini del Tolminotto, ma anche di altre regioni slovene, era arrivata al limite della carestia: dal 1708 si sono succedute annate disastrose, dal 1711 il bestiame venne copito da gravi malattie infettive, nel 1713 il raccolto venne compromesso da piogge incessanti. A questa situazione di precarietà si aggiunsero pesantissime tasse imposte dal governo di Vienna. Particolarmente odiose furono quelle sulla carne e il vino che contribuirono a rendere ancora più tesi i rapporti tra i Tolminotti e il conte Coronini che era a capo del distretto. Le tensioni aumentarono con la nomina di Jakob Bandeu (Bandel) come esattore delle tasse. Questi era un inflessibile e avido funzionario che in poco tempo si arricchì rendendosi ancora più odioso davanti ai contadini. Bandeu si circondò di numerosi esattori e dazieri che a loro volta si arricchirono alle spalle di nobili e poveracci costituendo un sistema fiscale oppressivo e iniquo. Per la gente erano veri usurai usurai e sanguisughe.
Già da qualche anno i Tolminotti si rifiutavano di pagare le tasse e rimanevano sordi agli appelli di Bandeu di saldare il debito con lo stato; e rimanevano sordi anche agli appelli e alle minacce che arrivavano da più parti, perfino dai sacerdoti. Si racconta che il vicario di Šentviška gora, fratello del famigerato Bandeu, mentre esortava i suoi fedeli a pagare le tasse arretrate fu preso di peso, portato fuori dai confini della sua giurisdizione e gli fu imposto di non mettervi più piede.
Il malcontento contro le tasse e Bandeu intanto stava montando vistosamente tra i contadini e da Tolmino in breve tempo lo spirito di si estese lungo tutto l’alto corso dell’Isonzo e dei suoi affluenti. Di nascosto i promotori radunavano i contadini, spiegavano loro i motivi dell’insurrezione e raccoglievano denaro per realizzare il loro progetto.
La scintilla della rivolta scoccò alla metà del mese di marzo 1713. Alcuni Tolminotti scesero a Gorizia per acquistare grano e sale. Erano pronti al rientro quando Bandeu diede l’ordine di catturarli e rinchiuderli nelle prigioni del castello. Come un fulmine la notizia arrivò a Tolmino infiammando i contadini. Il 27 marzo 500 di loro si radunarono, impugnarono bastoni, falci e forche e si avviarono verso Gorizia. Nei pressi del cimitero di Solkan si imbatterono nel conte Giacomo Antonio Coronini che, col barone Orzone, saliva lungo la valle. Alla domanda del conte quale fosse la loro meta i contadini risposero che stavano andando a Gorizia per affrontare Bandeu e chiedergli conto dell’oppressione e del suo criminale comportamento nei confronti dei Tolminotti. Dopo aver invano cercato di persuaderli a desistere dal loro intento, il Coronini tornò sui suoi passi per riferire del fatto al governatore Leopoldo Adamo di Strassoldo. Il quale raccolti 40 dragoni e alcuni moschettieri si diresse verso Solkan da dove inviò due suoi rappresentanti a parlamentare con i contadini e a chiedere loro il motivo della loro iniziativa.
La risposta fu alquanto perentoria: i loro colleghi imprigionati dovevano essere scarcerati immediatamente. Strassoldo stesso allora con i suoi armati si diresse verso la moltitudine dei rivoltosi. In tutti i modi tentò di convincerli ma senza risultato. Di fronte al rifiuto dei contadini di disperdersi i soldati cominciarono a sparare uccidendo un manifestante, mentre due caddero nell’Isonzo, 25 furono catturati, i rimanenti fuggirono lungo la strada verso Monte Santo.
I 25, rassicurati dal governatore che non sarebbe stato fatto loro alcun male, furono condotti nel castello di Gorizia, dove, lo stesso giorno anche il Bandeu si rifigiò temendo di essere aggredito.
E infatti la notizia della cattura e carcerazione dei 25 rivoltosi si sparse immediatamente e ben 5000 persone, provenienti da Tolmino e Kanal, s’incamminarono verso Gorizia. Il reparto di soldati mandati a fermare la loro marcia di fronte a quella massa batterono, aprendo la strada ai rivoltosi, i quali entrati in città invasero il Travnik, la grande piazza di Gorizia, e si assieparono davanti alla casa del governatore dal quale pretesero la liberazione dei prigionieri, la restituzione dei cavalli e della merce sequestrata. Lo Strassoldo tentò di temporeggiare promettendo che avrebbe ridato loro gli animali da soma, il grano e il sale. Ma i ribelli non si accontentarono e continuarono a chiedere la liberazione dei prigionieri. Di fronte alla loro determinatezza il governatore decise di rifugiarsi di nascosto nel castello dopo aver messo al sicuro i valori e gli oggetti prezioni nel convento dei cappuccini.
Dal castello Strassoldo iniziò, tramite il suo portavoce certo Brunetti, una nuova trattativa con i rivoltosi, i quali, oltre alla liberazione dei loro compagni pretesero che Bandeu venisse consegnato loro al fine di trattare anche con lui. La richiesta venne respinta e allora alcuni Tolminotti si recarono a Studenez e iniziarono a demolire la casa del famigerato esattore ed a vendere a buon prezzo i mobili e le stoviglie, mentre i rimanenti continuavano a reclamare la liberazione dei prigionieri. Di fronte al ripetuto rifiuto minacciarono il governatore che avrebbero fatto giustizia con la forza e distrutto anche la sua casa.
A quel punto all’atterrito Strassoldo non rimase altro che liberare i prigionieri e e firmare una dichiarazione scritta che i Tolminotti sarebbero stati sollevati dal pagamento delle tasse.
I prigionieri vennero accolti con grante entusiasmo dai loro compagni e con loro attraversarono il Travnik con grida di giubilo. La sera del 28 marzo gli insorti s’incamminarono verso Tolmino, ma alcuni passarono per il Collio accendendo la scintilla della rivolta anche tra quella popolazione. A San Floriano distrussero la casa del barone Tacco. Alcuni di loro però rimasero a Gorizia anche il 29 con l’intenzione di devastare la casa del conte della Torre. Troppo tardi! Da Gradisca arrivarono 300 soldati in aiuto al governatore di di Gorizia il quale fece posizionare sul Travnik quattro cannoni e ordinò ai cittadini e agli studenti di difendere il castello. Davanti a questa dimostrazione di forza i rivoltosi decisero di tornare a Tolmino dove giunsero dopo aver demolito la casa del daciere di Solkan.
Lo stesso giorno a Caporetto un migliaio di rivoltosi assalirono l’ufficio del dazio e pretesero una dichiarazione scritta che le nuove imposte sarebbero state abolite. Il daziere seduta stante firmò la dichiarazione e la consegnò loro.
Ob 300-letnici Tolminskega punta, oz. tolminski kmečki upor, ki se je začel leta 1713, Slovenija se spomni na ta pomembni zgodovinski dogodek z vrsto pobud, koncertov, razstav, itd. Na osrednji slovesnsosti o praznovanju, ki je bil v Tolminu 24. marča, je predsednik Republike Slovenije Borut Pahor dejal: »Praviloma vselej, ko izkoriščanje, nepravičnost in neenakost dobijo take razsežnosti, da ogrozijo dostojanstvo ali celo eksistenco ranljive večine proti neki privilegirani manjšini, so upori neizogibni. Družba je vržena iz svojih moralnih tečajev«.
V tem članku se natančno razloži, kaj se je dogajalo na Tolminskem pred 300 leti.
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