«Scuola bilingue il mio sogno»
Bruno Forte, il dirigente che statalizzò l’istituto,
ai festeggiamenti per i 30 anni
Quando Živa Gruden mi ha contattato per la statalizzazione
della scuola bilingue ho detto subito di sì, non un sì formale,
ma di cuore e ho firmato il decreto. Il ministero romano
mi diceva: «Forte, stai tranquillo, sai sono questioni delicate…».
Io ho risposto invece: «C’è una Costituzione che
all’articolo 6, quindi tra i principi fondativi del paese, dice:
“La Repubblica tutela con appositi provvedimenti le minoranze linguistiche”». Non era una tutela passiva, ma attiva,
propositiva, perché quell’affermare tra i principi fondamentali
la pluralità delle lingue del nostro paese sottolineava
il fatto – e bisogna dire che in questo i Costituenti furono
molto lungimiranti – che nella pluralità si costruisce l’unità.
Non nell’uniformità, nell’appiattimento, ma nella valorizzazione
delle diversità. […] L’8 marzo 2001 era stata approvata
la legge 38 che tutelava la minoranza slovena e menzionava
espressamente la scuola di San Pietro al Natisone.
Dal ministero mi avevano detto che dovevamo aspettare
il regolamento, che non è mai arrivato. Ho firmato quel provvedimento
perché quella scuola intercettava le istanze di
una comunità. Quel riconoscimento, quindi, era dovuto, non
era una concessione paternalistica.
Firmando ho pensato alla storia di questa scuola. Non dobbiamo
dimenticare un grande maestro, Paolo Petricig. La
parola maestro viene da «magis» «uno che guarda lontano»
che è in grado di prevedere le esigenze e gli sviluppi
futuri. È intorno a lui che il gruppo e la comunità hanno
costruito questa esperienza.
Io ho vissuto questa esperienza come un sogno. Ho sognato
che questa scuola diventasse modello per una realtà di
scuola plurilingue nella nostra realtà regionale. Idem dicasi
per quanto riguardava l’attuazione della 482. Purtroppo
non ci è venuta incontro una visione politica, perché la
Regione non è stata in grado di cogliere il significato vero
e profondo dell’esperienza della scuola. L’articolo 3 dello
Statuto, che è legge costituzionale 1 del 1963 dice: «Nella
regione è riconosciuta pari dignità di diritto e trattamento
a tutti i cittadini qualunque sia il gruppo linguistico al quale
appartengono, con la salvaguardia delle rispettive caratteristiche
etniche e culturali». Era qui il nucleo fondante della
specialità di questa regione, che ha perso le specialità geopolitiche,
ma ha ancora la peculiarità della dimensione linguistica.
L’articolo 6 che riguarda la scuola recita: «La regione
ha facoltà di adeguare alle sue particolari esigenze le
leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione
e attuazione». Parole come «adeguare, «attuare» e «integrare»
sono verbi deboli, perché c’era un retropensiero
secondo cui la scuola era questione dello Stato.
La nostra Regione ha perso nella sua storia tanti treni, tra
cui quello di rivendicare una competenza primaria sull’istruzione
come abbiamo nelle province di Bolzano e di
Trento e, in maniera significativa, anche in Val d’Aosta.
Perché allora questa scuola non diventava solo una perla,
ma diventava modello generatore di una scuola della
Regione, dove il plurilinguismo era l’albero centrale, anticipando
una proiezione europea a globale. […] Questa è
una scuola importante, pioniera, ma bisogna che faccia
scuola anche al resto. Perché anche i modelli più avanzati
a un certo momento se mancano un respiro e un confronto
più ampio, corrono il rischio di una forma di entropia,
perché mancano degli sfondi, degli orizzonti ai quali
insegnare in maniera adeguata.
Credo che a questa scuola vada tutto il plauso, perché la
famiglie hanno un ruolo particolare, perché i componenti
della comunità, testimoni privilegiati dei vari mondi politici
e culturali del territorio sono presenti, vivi e attivi, così come
le amministrazioni locali ecc. Insisto su questo perché la
scuola è scuola di comunità, se la scuola va con modelli
semiaziendalistici non va da nessuna parte se non alla sua
fine. E la scuola è un mondo di relazioni umane, un mondo
in cui la cultura passa attraverso le relazioni umane. Insisto
sull’idea della comunità per un’altra ragione: le lingue non
le salva la scuola. La scuola dà un contributo importante,
ma le lingue vivono nella misura in cui ci sono i parlanti che rinnovano le lingue stesse. La lingua è un patrimonio
simbolico di significati e di valori in cui una comunità si riconosce.
[…]
Ecco perché, allora, bisogna che il legame venga dalla
comunità che non si deve sentire minore. Allora questa
esperienza va coltivata con orgoglio. Quindi scuola di comunità,
mettendo in circolo questa consapevolezza comune,
condivisa. Credo che questo sia l’augurio più bello. Ho visto
insegnanti, dirigenti che si sono succeduti, attenti, svegli,
impegnati, convinti, consapevoli di avere una missione particolare,
speciale. Vediamo di fare sì che questa possa contagiare
le altre realtà scolastiche regionali.
Bruno Forte (Dom, 30. 6. 2015)
Bruno Forte (Dom, 30. 6. 2015)
«Scuola bilingue il mio sogno» Bruno Forte, il dirigente che statalizzò l’istituto, ai festeggiamenti per i 30 anni
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