30 giu 2015

«Scuola bilingue il mio sogno» Bruno Forte, il dirigente che statalizzò l’istituto, ai festeggiamenti per i 30 anni

«Scuola bilingue il mio sogno» Bruno Forte, il dirigente che statalizzò l’istituto, ai festeggiamenti per i 30 anni Quando Živa Gruden mi ha contattato per la statalizzazione della scuola bilingue ho detto subito di sì, non un sì formale, ma di cuore e ho firmato il decreto. Il ministero romano mi diceva: «Forte, stai tranquillo, sai sono questioni delicate…». Io ho risposto invece: «C’è una Costituzione che all’articolo 6, quindi tra i principi fondativi del paese, dice: “La Repubblica tutela con appositi provvedimenti le minoranze linguistiche”». Non era una tutela passiva, ma attiva, propositiva, perché quell’affermare tra i principi fondamentali la pluralità delle lingue del nostro paese sottolineava il fatto – e bisogna dire che in questo i Costituenti furono molto lungimiranti – che nella pluralità si costruisce l’unità. Non nell’uniformità, nell’appiattimento, ma nella valorizzazione delle diversità. […] L’8 marzo 2001 era stata approvata la legge 38 che tutelava la minoranza slovena e menzionava espressamente la scuola di San Pietro al Natisone. Dal ministero mi avevano detto che dovevamo aspettare il regolamento, che non è mai arrivato. Ho firmato quel provvedimento perché quella scuola intercettava le istanze di una comunità. Quel riconoscimento, quindi, era dovuto, non era una concessione paternalistica. Firmando ho pensato alla storia di questa scuola. Non dobbiamo dimenticare un grande maestro, Paolo Petricig. La parola maestro viene da «magis» «uno che guarda lontano» che è in grado di prevedere le esigenze e gli sviluppi futuri. È intorno a lui che il gruppo e la comunità hanno costruito questa esperienza. Io ho vissuto questa esperienza come un sogno. Ho sognato che questa scuola diventasse modello per una realtà di scuola plurilingue nella nostra realtà regionale. Idem dicasi per quanto riguardava l’attuazione della 482. Purtroppo non ci è venuta incontro una visione politica, perché la Regione non è stata in grado di cogliere il significato vero e profondo dell’esperienza della scuola. L’articolo 3 dello Statuto, che è legge costituzionale 1 del 1963 dice: «Nella regione è riconosciuta pari dignità di diritto e trattamento a tutti i cittadini qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, con la salvaguardia delle rispettive caratteristiche etniche e culturali». Era qui il nucleo fondante della specialità di questa regione, che ha perso le specialità geopolitiche, ma ha ancora la peculiarità della dimensione linguistica. L’articolo 6 che riguarda la scuola recita: «La regione ha facoltà di adeguare alle sue particolari esigenze le leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione e attuazione». Parole come «adeguare, «attuare» e «integrare» sono verbi deboli, perché c’era un retropensiero secondo cui la scuola era questione dello Stato. La nostra Regione ha perso nella sua storia tanti treni, tra cui quello di rivendicare una competenza primaria sull’istruzione come abbiamo nelle province di Bolzano e di Trento e, in maniera significativa, anche in Val d’Aosta. Perché allora questa scuola non diventava solo una perla, ma diventava modello generatore di una scuola della Regione, dove il plurilinguismo era l’albero centrale, anticipando una proiezione europea a globale. […] Questa è una scuola importante, pioniera, ma bisogna che faccia scuola anche al resto. Perché anche i modelli più avanzati a un certo momento se mancano un respiro e un confronto più ampio, corrono il rischio di una forma di entropia, perché mancano degli sfondi, degli orizzonti ai quali insegnare in maniera adeguata. Credo che a questa scuola vada tutto il plauso, perché la famiglie hanno un ruolo particolare, perché i componenti della comunità, testimoni privilegiati dei vari mondi politici e culturali del territorio sono presenti, vivi e attivi, così come le amministrazioni locali ecc. Insisto su questo perché la scuola è scuola di comunità, se la scuola va con modelli semiaziendalistici non va da nessuna parte se non alla sua fine. E la scuola è un mondo di relazioni umane, un mondo in cui la cultura passa attraverso le relazioni umane. Insisto sull’idea della comunità per un’altra ragione: le lingue non le salva la scuola. La scuola dà un contributo importante, ma le lingue vivono nella misura in cui ci sono i parlanti che rinnovano le lingue stesse. La lingua è un patrimonio simbolico di significati e di valori in cui una comunità si riconosce. […] Ecco perché, allora, bisogna che il legame venga dalla comunità che non si deve sentire minore. Allora questa esperienza va coltivata con orgoglio. Quindi scuola di comunità, mettendo in circolo questa consapevolezza comune, condivisa. Credo che questo sia l’augurio più bello. Ho visto insegnanti, dirigenti che si sono succeduti, attenti, svegli, impegnati, convinti, consapevoli di avere una missione particolare, speciale. Vediamo di fare sì che questa possa contagiare le altre realtà scolastiche regionali.
 Bruno Forte (Dom, 30. 6. 2015)

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