4 set 2015

Toni Capuozzo: “Profughi dai Balcani, un fenomeno legato all’ambiguità della politica europea”


Ha da poco pubblicato un libro sulla vicenda dei due marò italiani, Girone e Latorre, prigionieri in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori. Ma il suo sguardo è sempre rivolto a quella parte di Europa e di Asia di cui ha calcato spesso la terra come inviato.
Nato a Palmanova nel 1948 da padre napoletano e madre triestina, Toni Capuozzo ha frequentato il liceo classico a Cividale. Tra qualche settimana riprenderà la trasmissione settimanale ‘Terra!’ per i canali Mediaset. E intanto, oltre a girare l’Italia per presentare il libro ‘Il segreto dei marò’, si concede con estrema gentilezza per una chiacchierata sul tema del momento in Europa, l’ondata di profughi che, di varia provenienza, risalgono i Balcani per raggiungere l’Austria o l’Italia, quasi sempre luoghi di transito per altre mete europee.
Era prevedibile questo flusso ormai continuo che sta attraversando i Balcani per arrivare in Europa?
“Ci sono dei dati interessanti che vanno ricordati. In Siria, da dove provengono molti profughi, la situazione non è più drammatica di quanto lo era qualche anno fa. Lo stesso in Afghanistan, o in Eritrea, dove non c’è un regime aggressivo. Perché allora succede ora quello che succede? È stato come un tam tam, prima si è sparsa la voce che partendo dalla Libia si rischia molto ma alla fine magari si viene salvati, poi attraverso il Balcani. A questo fenomeno si mescolano situazioni di fuga dalla guerra, ma anche economiche. E le dimensioni del fenomeno sono legate all’ambiguità della politica europea.”
È l’Europa, intesa come istituzione, la chiave di tutto, il problema?
“Non è riuscita mai a prendere in mano la situazione. In questo momento come europei siamo combattuti, e quello che viene maggiormente interessato è il versante più ‘giovane’ dell’Europa, i Paesi che ne sono appena entrati a far parte. Non a caso chi si comporta in maniera più matura rispetto alla questione dell’immigrazione è la Germania, il paese più ricco, più esperto. Oggi il cittadino serbo è considerato ancora un extracomunitario… E l’Europa nei vari Paesi dell’Est ha promosso la clandestinità, mentre quello che si sarebbe dovuto fare era una specie di Schengen mondiale, dicendo a ciascun Stato di farsi carico di 500 mila persone, distribuite per zone geografiche.”
Che sensazioni provi quando si parla, e si costruiscono poi davvero, dei nuovi muri, vedi in Ungheria, Bulgaria, ma in qualche modo anche con Cameron in Inghilterra, che chiude le frontiere ai migranti?
“Una sensazione triste, non a caso ricordiamo con sollievo la caduta del Muro di Berlino. Il muro è di per sé sempre sintomo di paura, di chiusura. Stiamo parlando di un mondo in cui la rete ci consente di considerare i confini inesistenti. Tutti noi, e voi di quella zona in particolare, sappiamo cosa vuole dire potersi liberare dell’idea di un confine. Dovremmo, invece dei muri, costruire dei ponti, che ci permetterebbero di integrarci più facilmente. I muri poi sono sempre insufficienti, non risolvono il problema, vedi cosa succede tra Stati Uniti e Messico, dove le barriere vengono continuamente saltate. Queste sono invasioni umane, non puoi aprire il fuoco perché sono invasioni non ostili, fatte di sogni, di speranze. La risposta non sono i muri ma, ripeto, i ponti, i corridoi, perché l’Europa possa accogliere queste persone in modo dignitoso.”
Una domanda che riguarda il Friuli, terra in cui ritorni spesso. È di questi giorni la polemica della Lega Nord contro gli albergatori di Lignano che si sono detti disposti ad ospitare dei profughi. Quanto pesa questa vicenda nella politica di casa nostra?
“Purtroppo la politica lavora sempre come se ci fosse la campagna elettorale dietro l’angolo. La Lega lavora sulle paure, mentre ci può essere una visione di buon senso, di realismo, che non si fonda sulla paura. Vedi, si ricordano spesso gli italiani, ma la stessa cosa riguardava anche gli jugoslavi, che emigravano, ma lo facevano venendo inseriti in una società che sapeva ‘assorbirli’. Io stesso ho lavorato da giovane in Germania, là chi ti assumeva aveva l’obbligo di darti anche un letto dove dormire. Era forza lavoro a buon mercato, certo, ma ci dimentichiamo anche che siamo stati accettati. L’integrazione è importante, ed è qualcosa che va costruito, non si inventa.”
Michele Obit
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