21 nov 2015

Come nacque l’idea del traforo di Sella Carnizza

Giovanni Panteo Barocci, il generale che si è prodigato per reperire i perché, i fondi economici, i permessi e altro per far decollare il progetto del traforo di Sella Carnizza, ha concesso ad Herold Friul, la storia vera di come è nata questa idea.Ha però voluto narrare i fatti al modo di una storia che qui 
riportiamo grazie alla penna di Giovanni Bianco Del Lago, oggi agente segreto ad Astana, nel Kazakistan.

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Quattro amici lasciarono le loro auto sul piazzale ghiaioso presso ponte Tanarmàn. Da lì, si incamminarono lungo la pista forestale che porta al fontanone Barmàn. Subito presero il sentiero che volgeva verso casera Planinizza e un po’ prima giunsero al capanno di caccia di Baldo, situato in un boschetto di faggi, a quota 890 metri, sotto le cime dei Musi. Capanno che sempre era a disposizione dei cacciatori purché lasciassero sempre provviste e tutto in ordine.
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Quel giorno, con loro ci stava pure un ospite importante, niente meno che un futuro generale, l’ ufficiale Giovanni Panteo Barocci, con lui i cacciatori del posto, Fedo ScufeGjelmo Noache, ospite di caccia, Gigi Furlan della riserva di Basagliapenta. “Roba della bassa, preparati che verremo a beccacce“,  gli strillavano i compagni – come sempre si fa – ironizzando sulle parche ricchezze faunistiche della sua riserva. Giù, nella bassa. Lui ribatteva elencando le reali difficoltà e quali doti servano per la caccia alle beccacce.
Il tempo però era scarso, dovevano fare in fretta. Nel primo pomeriggio il tempo si sarebbe guastato. Erano previste piogge. Così parlavano i bollettini meteo di quel 15 ottobre 2014, quassù sui pendii presso le Cime dei Musi, versante di Resia.
Giovanni Panteo Barocci aveva iniziato ad andare a caccia da quando, nel 2005, giunse in Friuli. Gli piaceva quell’ambiente d’intrigo che si creava con gli altri. Ammirava il clima particolare del prima, del durante e, soprattutto, del dopo battuta. A onor del vero, a lui, non piaceva sparare alle prede. Questo era un suo problema: abile nel lavoro militare che aveva scelto, ma però di sparare con qualsiasi mezzo non ne voleva parlare. Ragion per cui decise di fare subito carriera, onde garantirsi una debita distanza da possibili situazioni estreme e rudi. Tutti qui sapevano che a breve sarebbe diventato generale per meriti e con un ruolo molto importante nella direzione logistica per l’intera artiglieria.
Raggiunsero presto la capanna, predisposero le loro cose e alle 6,30 erano già avviati lungo la pista. Con loro pure il Cutj, il bracco bravo e simpatico di Gjelmo che, naso terra, li trascinava di gran fretta. Così, quasi trotterellando, scomparvero inghiottiti dalla boscaglia mattutina ammantata dai vapori della notte che lasciavano posto ai raggi del sole.
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La caccia non fu propizia. Durante la mattinata si sentirono echi di spari qua e là accompagnati da fischi e richiami che loro capivano. Era mezzogiorno quando, delusi, ritornarono al capanno di caccia, si capiva perché il campanile di Oseacco, preciso più o meno, scandiva le ore.
Come previsto, pure il tempo si stava velocemente guastando. Dense nubi si ammassavano tutt’intorno. Il gruppetto nel capanno era al riparo, con il fuoco acceso e tante provviste. Cucinarono con gusto il pranzo, mentre calorosamente continuavano a discernere sulle opportunità di cattura mancate. E la colpa, a turno, era di tutti.
Iniziò a piovere con tanta forza. Guardavano l’incedere degli scrosci dall’uscio e si preoccuparono. I telefoni cellulari, lì non avevano nessun segnale, nemmeno quello del prossimo generale. – Fa niente, staremo qui fin che passa, cibo e bevande non mancano. Stiamo tranquilli e aspettiamo che si calmi, poi vado sul picco qui sopra, a volte e si riesce a prendere segnale e avverto giù –. Disse il cacciatore Fedo e gli altri annuirono.
Così andò quella giornata, la battuta di caccia non portò nessuna preda, il tempo si guastò terribilmente e, quattro uomini e un cane, dovettero stare fermi, fino a non sappiamo quando, presso una dignitoso capanno alla mercé delle loro provviste. Fu proprio lì, in quel contesto estremo e ricercato, che si stava scrivendo una pagina fondamentale per il futuro di tutta la valle di Resia, della Valle del Torre e del Friuli intero. Sì, lassù quei quattro uomini e un cane decisero che bisognava fare una galleria utile a collegare questa valle troppo chiusa con uno sbocco migliore, sia a levante, Bovec e sia a ponente, oltre Resia e Moggio.
Continua... l'ultima parte a breve, sempre su Herald Friul

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