Giovanni Panteo Barocci, il generale che si è prodigato per reperire i fondi economici, i permessi e altro per far decollare il progetto del traforo di Sella Carnizza, ha concesso ad Herold Friul, la storia vera di come è nata questa idea.Ha però voluto narrare i fatti al modo di una storia che qui riportiamo grazie alla penna di Giovanni Bianco Del Lago, oggi agente segreto ad Astana, nel Kazakistan.
Quattro amici lasciarono le loro auto sul piazzale ghiaioso presso ponte Tanarmàn. Da lì, si incamminarono lungo la pista forestale che porta al fontanone Barmàn. Subito presero il sentiero che volgeva verso casera Planinizza e un po’ prima giunsero al capanno di caccia di Baldo, situato in un boschetto di faggi, a quota 890 metri, sotto le cime dei Musi. Capanno che sempre era a disposizione dei cacciatori purché lasciassero sempre provviste e tutto in ordine.
Quel giorno, con loro ci stava pure un ospite importante, niente meno che un futuro generale, l’ ufficiale Giovanni Panteo Barocci, con lui i cacciatori del posto, Fedo Scufe, Gjelmo Noache, ospite di caccia, Gigi Furlan della riserva di Basagliapenta. “Roba della bassa, preparati che verremo a beccacce“, gli strillavano i compagni – come sempre si fa – ironizzando sulle parche ricchezze faunistiche della sua riserva. Giù, nella bassa. Lui ribatteva elencando le reali difficoltà e quali doti servano per la caccia alle beccacce.
Il tempo però era scarso, dovevano fare in fretta. Nel primo pomeriggio il tempo si sarebbe guastato. Erano previste piogge. Così parlavano i bollettini meteo di quel 15 ottobre 2014, quassù sui pendii presso le Cime dei Musi, versante di Resia.
Giovanni Panteo Barocci aveva iniziato ad andare a caccia da quando, nel 2005, giunse in Friuli. Gli piaceva quell’ambiente d’intrigo che si creava con gli altri. Ammirava il clima particolare del prima, del durante e, soprattutto, del dopo battuta. A onor del vero, a lui, non piaceva sparare alle prede. Questo era un suo problema: abile nel lavoro militare che aveva scelto, ma però di sparare con qualsiasi mezzo non ne voleva parlare. Ragion per cui decise di fare subito carriera, onde garantirsi una debita distanza da possibili situazioni estreme e rudi. Tutti qui sapevano che a breve sarebbe diventato generale per meriti e con un ruolo molto importante nella direzione logistica per l’intera artiglieria.
Raggiunsero presto la capanna, predisposero le loro cose e alle 6,30 erano già avviati lungo la pista. Con loro pure il Cutj, il bracco bravo e simpatico di Gjelmo che, naso terra, li trascinava di gran fretta. Così, quasi trotterellando, scomparvero inghiottiti dalla boscaglia mattutina ammantata dai vapori della notte che lasciavano posto ai raggi del sole.
La caccia non fu propizia. Durante la mattinata si sentirono echi di spari qua e là accompagnati da fischi e richiami che loro capivano. Era mezzogiorno quando, delusi, ritornarono al capanno di caccia, si capiva perché il campanile di Oseacco, preciso più o meno, scandiva le ore.
Come previsto, pure il tempo si stava velocemente guastando. Dense nubi si ammassavano tutt’intorno. Il gruppetto nel capanno era al riparo, con il fuoco acceso e tante provviste. Cucinarono con gusto il pranzo, mentre calorosamente continuavano a discernere sulle opportunità di cattura mancate. E la colpa, a turno, era di tutti.
Come previsto, pure il tempo si stava velocemente guastando. Dense nubi si ammassavano tutt’intorno. Il gruppetto nel capanno era al riparo, con il fuoco acceso e tante provviste. Cucinarono con gusto il pranzo, mentre calorosamente continuavano a discernere sulle opportunità di cattura mancate. E la colpa, a turno, era di tutti.
Iniziò a piovere con tanta forza. Guardavano l’incedere degli scrosci dall’uscio e si preoccuparono. I telefoni cellulari, lì non avevano nessun segnale, nemmeno quello del prossimo generale. – Fa niente, staremo qui fin che passa, cibo e bevande non mancano. Stiamo tranquilli e aspettiamo che si calmi, poi vado sul picco qui sopra, a volte e si riesce a prendere segnale e avverto giù –. Disse il cacciatore Fedo e gli altri annuirono.
Così andò quella giornata, la battuta di caccia non portò nessuna preda, il tempo si guastò terribilmente e, quattro uomini e un cane, dovettero stare fermi, fino a non sappiamo quando, presso una dignitoso capanno alla mercé delle loro provviste. Fu proprio lì, in quel contesto estremo e ricercato, che si stava scrivendo una pagina fondamentale per il futuro di tutta la valle di Resia, della Valle del Torre e del Friuli intero. Sì, lassù quei quattro uomini e un cane decisero che bisognava fare una galleria utile a collegare questa valle troppo chiusa con uno sbocco migliore, sia a levante, Bovec e sia a ponente, oltre Resia e Moggio.
I carri armati Leopard per per fare la galleria
Il maltempo, per altro annunciato, si è dimostrato molto più forte di quanto previsto, ma nella capanna ci sono provviste, brande e giacigli dove stare protetti in attesa che tutto migliori.
La stufa scoppietta contenta e tra poco l’acqua per la pastasciutta raggiungerà l’ebollizione. Una bottiglia di cabernet sta aiutando tutti a riprendere forze, parole e tono.
Preoccupato per l’incedere costante della slavina, Fedo decide di uscire e raggiungere il punto dove sa che i telefoni portatili ricevono il segnale utile per tranquillizzare chi li attende dicendo: Non preoccupatevi, siamo al riparo, ci fermiamo a dormire al capanno.
– Aspetta la pasta, poi andiamo insieme – suggerisce Gjelmo.
– Va là, per quando è pronta son già tornato – risponde Fedo, certo che una volta fatta la telefonata si sarebbe sentito meglio. A casa saranno tranquilli, soprattutto lui, così in pace, potrà godersi il meglio di quella compagnia.
Ha indossato una lunga mantella cerata con il cappuccio con falde ed esce veloce immergendosi subito tra i fitti scrosci di acqua che scorrono minacciosi lungo i pendi boschivi.
Nella calda stanza il fido Cutj sta accucciato aspettando il suo pasto, ogni tanto batte la coda sulle assi del pavimento. Gjelmo, controlla le pignatte, ogni tanto volge lo sguardo alla finestra e farfuglia parole incomprensibili.
Giovanni ascolta Gigi intento a rivolgergli domande su come si vive nell’esercito oggi, nel vivo della crisi economica, con i suoi tagli in tutti i settori. Gli esempi di chi sta peggio, di chi se la cava sono molti, come il continuo picchiettare delle gocce insistenti, come la voce del bosco quando i suoi animali stanno nella tana, oppure fino a quando la porta del capanno si apre improvvisa. E’ Fedo Scufe, con la mantella che gronda, ma lui ride e dice: – Fatto! Elena avvisa le vostre donne e anche la caserma. Certo son caduti due grossi faggi là, verso il Clap de Strie-.
Bene – esclama Gjelmo, battendo il cucchiaio sulla pignatta – sei giusto in tempo, la pasta è pronta. Tutti a tavola-.
Sì, è un piacere vederli gustare pasta, pane, vino, salame formaggio e altro ancora. Isolati da una coltre spessa di burrasca, i quattro più un cane stanno bene a raccontare di loro, sfidando ogni destino.
-Dicevamo dei tagli, anche per l’esercito il governo ha imposto notevoli risparmi e con quelli dobbiamo orientarci e mantenere i programmi. Vedete, una nazione deve avere un esercito efficace e moderno. Non per reprimere, non per sparare o bombardare, solamente perché serve a dare senso al Paese. Ad esempio, adesso proprio io mi sto occupando di una fornitura di 100 carri armati Leopard con torretta mobile. – Così Giovanni P. Barocci argomenta con i commensali che si dimostrano molto attenti. Ed è Gjelmo che, grattandosi la basetta sinistra e arricciando il naso, chiede – Ma quanto costa un carro armato? –
Il futuro generale risponde subito dicendo “dipende come è strutturato“, facendo degli esempi. Ma Gjelmo che è pratico lo interruppe di nuovo – Si, va ben, ma noi non dobbiamo comperarlo. Non perché non possiamo, ma perché non va bene per andare a caccia. – Ridono e si alternano simpatici fraseggi – Beh, però staresti bene, tra i boschi, a caccia con il Leopard.-
– Già – riapre Giovanni, – possiamo dire che questi carri costano tre milioni e mezzo di euro l’uno e per come sono strutturati, credetemi, è un buon prezzo. L’ordine, se tutto va bene sarà, esecutivo per il 2025.- “Osti nade” – esclama Gigi Furlan – ma quanta roba è tre milioni d’euro! –
Vanno avanti ancora disquisendo tra carri pesanti e costi, intercalando frequenti brindisi, mentre la pioggia, incessante, sottolinea il loro discorrere.
– Dai, dai. Iniziamo una partita di “Mora” e guai astenersi, vale per tutti. –Fedo lancia la sfida, sapendo di far cosa gradita a tutti. Liberano il tavolo, salvo bicchieri e bottiglia, quella della grappa.
Ben presto iniziano a tuonare le chiare esclamazioni friulane del gioco: tre, tre, sis, doi, mora. A turno uno entra, uno esce, uno segna i punti. Non si scappa,chi perde paga!
La pioggia, intanto, scende avvolgendo il cantato ritmo del gioco, chi già perde troppo si ritira e dopo ben due ore restano a scontrarsi solo Giovanni e Gigi Furlan di Visepente. La grappa invece resiste, grazie ad una nuova fiaschetta posta sul tavolo da Gjelmo, mentre sollecita il militare a mollare perché ormai non c’è più partita.
Non è mai facile coniugare orgoglio e ragione con l’alcool. Si va precisi verso la scommessa che però vale l’ultimo giro di “mora“. A Gigi basta vincere, non servono scommesse, ma l’altro insiste e allora pone la condizione che sia qualche cosa di buono per questo luogo, per questa valle. – Certamente – conferma Giovanni, – non c’è problema. Se perdo ancora farò una grande cosa che resti nel tempo, per tutti voi friulani -.
Fedo e Gjelmo si guardano e scuotendo il capo bisbigliano – Dai finitela, non serve scommettere – e pur di porre fine alla questione aggiunge. – Per smuovere questa terra ci vorrebbe una strada nuova che ci porti oltre questi monti, verso l’Isonzo. Una galleria che vada di là-.
Anche la sconfitta di Giovanni al gioco della mora appariva in tutta la sua grandezza tanto da fargli ammettere – Va bene, ho perso e sono pronto a mantenere la promessa su quanto vuoi due avete ipotizzato-.
– Sei pazzo e ubriaco. Noi si scherzava. Per fare una cosa del genere dovresti ridurre il numero di Leopard per l’esercito e spostare qui i denari per fare una galleria… che non serve a niente -.
Ma Giovanni lo riprende – Perché, secondo voi cento carri armati in più a cosa servono? Anche a niente. Ci si può venire incontro. Cioè rinunciando a dieci Leopard possiamo spostare trenta milioni di euro per costruire una galleria e migliorare la strada. In fondo, inutili per inutile, chissà che invece accada qualche cosa-. I tre, e pure il cane, lo guardano stupiti, sanno che non scherza anche se la grappa, copiosa, ha fatto il suo.
Così andò la non battuta di caccia, la partita e la scommessa mantenuta nata da una passione. E di come, quassù, in un capanno di caccia, in un giorno di pioggia troppo abbondante, i confini dell’inutile siano labili. dahttps://durigatto.wordpress.com/2015/11/21/come-nacque-lidea-del-traforo-di-sella-carnizza-2/
I soldi per fare il traforo di Sella Carnizza
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