31 mag 2018

“Con + lingue si cresce meglio”, giovedì 31 maggio a S. Pietro un incontro sulle opportunità dell’educazione plurilingue


Il progetto LINGUA +, realizzato dall’associazione di promozione sociale e culturale KLARIS con il sostegno della Regione e con la collaborazione e il patrocinio di diverse istituzioni ed entità pubbliche e private, fa tappa a San Pietro al Natisone.
L’appuntamento è per domani, giovedì 31 maggio, alle 19.30 allo Slovenski kulturni dom, sede dell’Istituto per la cultura slovena, dove si terrà l’incontro formativo e informativo dal titolo “Znanje več jezikov nas bogati / Cun + lenghis si ven sù miôr / Con + lingue si cresce meglio ”, dedicato all’educazione plurilingue e alla diversità linguistica nelle sue diverse dimensioni, come ricchezza, come diritto e come opportunità. Si confronteranno su questi argomenti, tra principi e indirizzi teorici ed esperienze pratiche di successo, Živa Gruden, già dirigente della Scuola bilingue di San Pietro al Natisone, Patrizia Pavatti, dirigente del Convitto nazionale ‘Paolo Diacono’ di Cividale del Friuli, William Cisilino, direttore dell’ARLeF e Marco Stolfo, giornalista e ricercatore, componente del direttivo dell’associazione di promozione sociale e culturale KLARIS, che coordinerà l’incontro.
Il progetto LINGUA + si propone di promuovere l’educazione plurilingue, nelle famiglie e nella società, con la consapevolezza che il plurilinguismo costituisce una ricchezza, un diritto e una risorsa per tutti, in particolare in una terra spiccatamente multilingue e multiculturale come la nostra. Il Friuli, infatti, è un territorio caratterizzato dall’incontro tra le principali famiglie linguistiche europee (latina, slava e germanica) e dalla presenza storica di quattro lingue (friulano, sloveno, tedesco e italiano) e questo suo profilo si è ulteriormente arricchito per effetto dei diversi flussi migratori in uscita e in entrata.
Con questa consapevolezza e per queste finalità, LINGUA + propone una serie di incontri di formazione e informazione per genitori, educatori e studenti, come quello in programma a San Pietro al Natisone il 31 maggio, che sono abbinati a laboratori di animazione multiculturale e plurilingue per bambini, ad una conferenza con-clusiva in programma a metà giugno e a quattro trasmissioni tematiche su Radio Onde Furlane, in diretta il sabato alle 8.30 e in replica la domenica alle 10.30 e il giovedì alle 17.00 in modulazione di frequenza (90 Mhz e 90.2 Mhz) e in internet (www.ondefurlane.eu).
Tra i partner del progetto LINGUA + figurano anche l’ARLeF, l’Università degli studi di Udine, il Comune di Udine, il Comune di Carlino, il Comune di Martignacco, la cooperativa Informazione Friulana, l’associazione 0432, l’associazione Mediatori di Comunità, l’Istituto comprensivo statale con insegnamento bilingue sloveno-italiano di San Pietro al Natisone, l’associazione Mitteleuropa, il Club Unesco di Udine, il Centro per lo sviluppo transnazionale tra l’Italia e la Russia e le Parrocchie di Santa Margherita del Gruagno e Nogaredo di Prato.

http://novimatajur.it/attualita/con-lingue-si-cresce-meglio-giovedi-31-maggio-a-s-pietro-un-incontro-sulle-opportunita-delleducazione-plurilingue.html





30 mag 2018

Il Manoscritto di Castelmonte


Manoscritto di Castelmonte(Starogorski Rokopis in sloveno) è uno dei più antichi documenti,fino a noi pervenuti,scritto in lingua slovena.Fu compilato alla fine del XV secolo (1492-1498) con il testo delle preghiere del Pater Noster, dell'Ave Maria e del Credo.

EPOCA


Il manoscritto fu redatto presso il Santuario della Beata Vergine di Castelmonte, situato nelle vicinanze di Cividale del Friuli, tra il 1492 ed il 1498 da Lorenzo da Mernicco (Laurentius vicario di Mirnik). Il periodo corrisponde a quello in cui l'idioma sloveno, fino ad allora prettamente orale, cominciava a sviluppare le regole per dotarsi anche di una forma grafica.
CONTENUTO

 Il manoscritto, composto da due fogli, contiene le principali preghiere del Cristianesimo e precisamente il Padre Nostro, l'Ave Maria ed il Credo. Nel testo sono presenti caratteristiche peculiari delle parlate della Carniola, del Carso interno e della Slavia Veneta. Insieme al manoscritto di Cergneu, custodito presso il Museo Archeologico Nazionale di Cividale, testimonia il contributo dato dall'idioma parlato nella Slavia friulana alla formazione della lingua slovena letteraria.

Il documento, che faceva parte integrante del libro della Confraternita di Santa Maria del Monte, venne ritrovato solo verso gli anni 60 del XX secolo e fu pubblicato, a cura di Angelo Cracina, nel 1974. Il manoscritto era inizialmente conservato presso l'Archivio arcivescovile di Udine; attualmente risulterebbe custodito presso l'Archivio Capitolare della parrocchia di Santa Maria Assunta di Cividale del Friuli.


https://www.wikiwand.com/it/Manoscritto_di_Castelmonte

29 mag 2018

Turismo sloveno 2017: 12,6 milioni di pernottamenti e quasi cinque milioni di arrivi



L’Ufficio di statistica statale sloveno ha reso noti i dati ufficali e completi registrati l’anno scorso dal settore turistico sloveno. Per la prima volta il numero di pernottamenti ha superato la soglia dei 12 milioni arrivando fino a 12,6 milioni, segnando un aumento del 13% rispetto al 2016. In crescita, del 15%, anche gli arrivi che hanno raggiunto quota 4,95 milioni. In base al numero dei pernottamenti effettuati dai turisti provenienti dall’estero, i mercati principali sono stati quello italiano (14%), tedesco (12%) e austriaco (11%). In totale erano a disposizione, nelle diverse strutture ricettive, quasi 135 mila posti letto.

27 mag 2018

IVAN CANKAR centenario della morte

10 maggio 1876/ 11 dicembre1918) 
Quest'anno ricorre il centenario della morte di Ivan Cankar importante scrittore e poeta sloveno.Per questa ricorrenza molte istituzioni slovene in Italia hanno programmato degli eventi speciali.


Cankar ‹-›, Ivan. - Scrittore sloveno (Vrhnika 1876 - Lubiana 1918). Condusse una misera esistenza; come scrittore lottò contro quel che gli pareva la grettezza piccolo-borghese dei suoi compatrioti e per un ideale di giustizia sociale e di bellezza (il racconto Hlapec Jernej in njegova pravica "Il servo J. e il suo diritto", 1907; il dramma Lepa Vida "La bella V.", 1912). Superate le iniziali posizioni naturalistiche e satiriche, si andò raffinando in un soggettivismo simbolico (Podobe iz sanj "Immagini dai sogni", 1917).
da http://www.treccani.it/enciclopedia/ivan-cankar/

Cankar e le storie di animali di Maria Bidovec

 
LA CIVETTA 

Era di sabato pomeriggio. Il sagrestano e il chierichetto avevano suonato le campane a festa: tornando dalla chiesa, lungo la strada passarono da noi. Il sagrestano stringeva tra le mani che parevano zampe- una grande civetta, che
di quando in quando sbatteva furente le pesanti ali, cercando di graffiarlo con gli artigli d’acciaio. Era un bell’animale, ma lo sguardo dei suoi rotondi occhi infossati era spaventoso, pieno di odio celato e furioso, di odio, disprezzo e spregio per gli uomini, per il mondo e per Dio, di odio e disprezzo per la vita, il giorno e il sole; in quella fiamma giallo cupo delle strette pupille c’era come una consapevolezza molto profonda, quella delle cose ultime, al cui cospetto l’uomo diverrebbe di pietra. Una consapevolezza che va molto oltre la tomba, fino al nero abisso che deride sghignazzando tutto il miserabile mondo intero attuale. Comprammo quella civetta dal sagrestano per tenerla in casa, come altrove si tengono i pappagalli.La mettemmo in una grande gabbia, dal fondo coperto di fieno. Attraverso la porticina, passando, riuscì ancora a beccare la mano del sagrestano, tanto che cominciò ad uscirgli del sangue. Poi rimase ferma, silenziosa ed immobile, dentro la gabbia, gli occhi incavati nascosti sotto le grigie sopracciglia corrugate, il becco giallo affondato sul petto. Se qualcuno si avvicinava e scuoteva la gabbia, quasi non si muoveva, soltanto gli occhi si dischiudevano a metà per un istante, e da essi balenava quell’odio furioso, profondo, indomito, che anche nella prigionia non conosceva nè rassegnazione  ´ nè paura. Mi ricordai di quel Vanek che sghignazzava sotto la forca, tanto che lo sentivano fino in strada. Per la prima notte la mettemmo in una piccola cameretta vuota accanto alla mia stanza. La cameretta era buia, aveva solo un angusto abbaino rotondo con una finestrella impolverata. In quel periodo c’erano delle splendide notti primaverili. Da noi in collina, nei nostri lidi solitari tra frutteti e boschetti di abeti, la primavera si annuncia molto prima, con molto più calore e a gran voce che non nella valle. Nelle notti silenziose par di sentire la vita che si risveglia; voci misteriose, come dalle profondità della terra stessa, frementi inquiete tra i rami, un grido improvviso, come un anelito ardente che viene da lontano... e tuttavia un silenzio così infinito che si potrebbero udire le stelle del cielo. Mi coricai e spensi la candela. Nel dormiveglia mi sembrava ancora di vedere davanti a me due cupi astri gialli; poi più nulla. D’un tratto mi svegliai tremante e mi misi in ascolto. Era come un’eco distante, si perdeva in lontananza... qualcosa di terribile, disperato, un grido di morte. Dalla cameretta si sentì la risposta; per tre volte di seguito si udì un urlo, tagliente, furioso, non di chi chieda aiuto ma di chi gridi vendetta. Vi fu un gran fracasso, un battere sulla gabbia, la quale vacillò più volte ed infine si rovesciò. Non più dalla chiesa, ma già molto vicino, dal noce o dal melo, rieccheggiava uno strillo lungo, strascicato, che a tratti scuoteva tutta la notte, facendola fremere dall’orrore. Un pianto selvaggio, furioso, minaccioso. E tuttavia nel profondo c’era nascosto in esso qualcosa di morbido, di doloroso. Dalla cameretta venne subito la risposta: si udì un urlo per tre volte di seguito, tagliente e duro come una lama di coltello, e la gabbia per la seconda volta si rovesciò con gran fragore. Mi sembrò di ` sentire un battito d’ali pesanti proprio davanti alla finestra, e il cuore mi si strinse per un timore ignoto. Solo, ancora mezzo addormentato, nel silenzio della notte, rabbrividii. “Ora, ora è vicinissima a te quella vita oltre la morte, è piena di quella consapevolezza sconfinata che sghignazzando schernisce l’uomo e Dio, la primavera e la morte!”. Un grido sussultò verso il cielo, un grido nè di uomo nè di civetta, forte da far tremare le stelle. Qualcosa si abbattè contro la gabbia con tutte le forze, una seconda volta, una terza. Nella cameretta si udì un urlo, la gabbia continuava a rovesciarsi con fragore. Ascoltavo pieno di orrore: una vita sconosciuta stava accanto a me, avrei potuto toccarla con mano, parlava un suo linguaggio terribile che io però non comprendevo; e tutti i segreti, tutte le  ultime cose stavano in quelle voci soffocanti e minacciose; sentivo. Di colpo tutto tacque. Un silenzio affaticato, stantio, un silenzio di tomba. La primavera, timida, era ammutolita, tra i rami non c'era più alcun fremito, le stelle tacevano. La mattina dopo entrai nella cameretta; nel buio, due occhi gialli mi guardavano con scherno e cattiveria. “La civetta maschio sbatteva contro l’abbaino!”, disse la padrona di casa. “Mettiamo la femmina dall’altra parte, così prenderemo anche il maschio!”. Per l’intera giornata la civetta se ne stette in gabbia silenziosa, immobile, indipendente; se appena appena dischiudeva un po’ gli occhi, da essi balenava uno scherno malvagio. La sera mettemmo la gabbia dall’altro lato, nella stanza dove dormiva il servo. Lì c’era una grande finestra, abbastanza ampia per le ali di una civetta, e il servo la spalancò. Tutto fu silenzio fino alla mezzanotte. Già stavo per assopirmi, quando fui colto da un brivido di freddo; accesi la candela e guardai l’ora; era mezzanotte in punto. E allora si sentì da una grande lontananza un verso prolungato e cupo; l’intera notte si risvegliò e si mise in ascolto. Non avevo paura, ma nel dormiveglia tremavo e mi balenò un pensiero: “Che passi oltre, che se ne stia lontano... al di là della morte!”. Si avvicinava: mi pareva di sentire lo sventolio di forti ali; un urlo piangente, fragoroso, maligno e doloroso fendeva la notte. Il mio cuore si strinse, ammutolì: ammutolirono tutte le cose, dalla terra al cielo, e tutte le cose stavano in ascolto, tremanti e con lo sguardo fisso per lo stupore. Non c’era più nulla, nè la terra nè il cielo, nè le stelle nè il cuore dell’uomo... solo un urlo da un abisso senza fondo, un urlo tagliente, spietato, che penetrava nell’anima. Per tutta la notte, fino al mattino. La mattina dopo, il servo entrò in cucina. Era accigliato, aveva dormito male. “Quella bestia non la voglio più... mettetela dove volete!"Cos’è successo?". ` “Niente! Il vento ha chiuso la finestra, e quella tutta la notte ci si è scagliata sopra da far pietà, fino al mattino... E poi se anche non fosse per questo, mettetela da qualche altra parte... quella morte!”. La terza notte ponemmo la gabbia in cortile, davanti alla stalla. Sul fieno mettemmo per la civetta della carne, perchè non morisse. Tutta la notte si sentiva echeggiare come un pianto e uno sghignazzo, come un dolore e uno scherno, si udiva svolazzare intorno alla chiesa, andare di qua e di là tra i rami; la notte di primavera non era più nostra; qualcosa di estraneo, di nero, era penetrato in essa da un’altra notte, da una notte dell’aldilà... Già prima dell’alba tutto tacque di colpo, all’improvviso. Un silenzio terrificante mi si posò sul petto e mi addormentai sfinito. La mattina dopo venne il servo. “E' morta!”. “Come morta?”. Nella gabbia giaceva la civetta, non si riuscivano a distinguere nè gli occhi nè il becco, tutto era nascosto e sepolto in un grande ciuffo folto picchiettato. Questo ciuffo era cosparso di goccioline di sangue, come coralli rossi. Accanto c’era il corpo morto di un ratto, ma la sua testa era come spezzata da una tenaglia. Tutti e due, civetta e ratto, furono buttati dal servo a far concime. Ogni notte, a mezzanotte, si fa sentire, terrificante, un canto funebre. Ali pesanti svolazzano intorno alla chiesa, tra i castagni e i noci. In quel grido prolungato non c’è solo odio, c’è un dolore profondo, un rimprovero che batte sul cuore come una martellata. “Che cosa avete fatto?”. Alla cieca, l’uomo si era insinuato in una vita sconosciuta ed era divenuto assassino.
da http://www.esamizdat.it/rivista/2008/1/pdf/cankar_trad_eS_2008_(VI)_1.pdf


1° “Giornata mondiale delle api”



 2_euro_commemorativo_slovenia_2018_api.jpg da www.numismatica-visual.es autore BCE



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autore Mihael Simonic

Su iniziativa della Slovenia quest’anno, il 20 maggio, per la prima volta al mondo, è stata celebrata la” Giornata mondiale delle api”. Prima questa era solo la festa slovena degli apicoltori (il 20 maggio 1734 nacque il primo maestro dell’apicoltura nel mondo, Anton Janša), e lo scorso dicembre la proposta della Slovenia è stata finalmente confermata dalle Nazioni Unite.L’obiettivo di questa iniziativa è di ricordare almeno una volta all’anno l’importanza di api e impollinatori e fermare il comportamento insensato di distruzione di queste specie e quindi l’intera catena della vita nel mondo. Senza api, non ci sarà cibo, un terzo del cibo mondiale e quasi due terzi di frutta dipendono dalle api impollinatrici. Inoltre, le api contribuiscono anche al fatto che il nostro pianeta rimane rigoglioso e verde.L’apicoltura è molto diffusa in Slovenia ,infatti circa diecimila persone lavorano nel ramo. Si tratta di piccoli apicoltori con meno di 20 famiglie di api in media, quindi non producono abbastanza miele per il consumo interno, che è di circa due chilogrammi pro capite all’anno.Negli ultimi dieci anni, il consumo di prodotti delle api è stato fortemente promosso in Slovenia, la “colazione al miele” è stata introdotta negli asili e nelle scuole e nelle famiglie.In Slovenia sono diffuse l’apiterapia e il turismo apicolo,ha promosso i suoi apicoltori all’Expo di Milano.Le api erano uno dei cinque temi presentati nel padiglione sloveno in modo interattivo e multimediale. La presentazione ha anche sottolineato il valore artistico unico degli alveari sloveni, caratterizzato dalle arnie dipinte.Questa arte popolare è nata nella Gorenjska e in Carinzia verso la metà del XVIII secolo, come ricorda il Museo etnografico sloveno ,ha avuto il suo massimo sviluppo tra il 1820 e il 1880 per scomparire all’inizio del XX secolo .Sulle arnie dipinte troviamo motivi religiosi e di vita quotidiana, erano certamente in uso comune alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo nella Carinzia meridionale, della Stiria slovena nordoccidentale, centrale e settentrionale,nella Carniola settentrionale fino al goriziano.Questa arte è conosciuta in altre parti del mondo, dove è stata portata dagli apicoltori sloveni.La razza di api indigene slovena è la grigia della Carniola (ape carnica), la seconda più comune nel mondo. Questa razza è conosciuta in Friuli, infatti anni fa degli apicoltori friulani hanno messo una postazione di api da seme nell’Alta Val del Torre ( Pian dei ciclamini) in quanto lì ci sono le condizioni ideali per l’allevamento delle api della Carniola . Il progetto comprende anche il Comune di Bardo/Lusevera e il Parco delle Prealpi Giulie,anche nelle Valli del Natisone,Resia e Val Canale ci sono molti apicultori.

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Arnia slovena a Padriciano (TS) ape carnicaFoto: SVSD /Barbara Kampos
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antiche arnie decorate
 da http://www.srcnotrbovlje.si/cebelarska-kulturna-dediscina-az-panj-in-cebelnjak/


Svetovni dan čebel: v Sloveniji je okrog deset tisoč čebelarjev -


https://www.wikiwand.com/it/Apis
Na pobudo Slovenije letos 20. maja prvič po vsem svetu praznujemo svetovni dan čebel. Pred tem je bil to samo slovenski praznik čebelarjev (na ta dan se je namreč leta 1734 rodil prvi učitelj čebelarstva na svetu Anton Janša), lani decembra pa so predlog Slovenije dokončno potrdili v Združenih narodih. Cilj te pobude je, kot je za Delo povedal predsednik slovenske čebelarske zveze Boštjan Noč, ki je bil pred tremi leti prvi predlagatelj svetovnega dne, posvečenega čebelam, “da se bomo najmanj enkrat na leto spomnili pomena čebel in drugih opraševalcev, predvsem pa pogledali vase, da bomo prenehali z nespametnim ravnanjem uničevati čebele in druge opraševalce ter s tem celotno verigo življenja na svetu.” Brez čebel namreč hrane ne bo, opozarja Noč in dodaja, da je prav od opraševanja, ki ga opravljajo čebele, odvisna tretjina svetovne hrane in skoraj dve tretjini sadja. Poleg tega pa čebele prispevajo tudi k temu, da ostaja naš planet cvetoč in zelen.
Čebelarstvo je v Sloveniji dokaj razširjena panoga, saj se z njo ukvarja okrog deset tisoč ljudi. Gre pa vsekakor za manjše čebelarje, ki imajo v povprečju manj kot 20 čebeljih družin, tako da ne pridelajo dovolj medu za domačo porabo, ki znaša približno dva kilograma na prebivalca na leto. V Sloveniji so namreč v zadnjih desetih letih močno promovirali uživanje čebeljih pridelkov, uvedli so tudi “medeni zajtrk” v vrtcih in šolah (ta se je kasneje razvil v slovenski zajtrk in dan slovenske hrane).
Slovenija, kjer se uveljavljata tudi apiterapija in čebelarski turizem, je svoje čebelarje promovirala tudi na Expu v Milanu. Prav čebele so bile namreč ena od petih vsebin, ki so jih na interaktiven in multimedijski način predstavili v Slovenskem paviljonu. V predstavitvi pa so poudarili tudi svojevrstno umetniško vrednost slovenskih čebelnjakov, za katere so značilne tako imenovane poslikane panjske končnice (to so deščice, ki zapirajo panj). Ta ljudska umetnost je nastala na Gorenjskem in slovenskem Koroškem sredi 18. stoletja, kot spominjajo v Slovenskem etnografskem muzeju, pa so panjske končnice svoj razcvet doživele v obdobju med letoma 1820 in 1880, kot posledica spremenjenih ekonomskosocialnih in duhovnih razmer pa so zamrle v začetku 20. stoletja. Poslikani panji, na katerih se pojavljajo motivi ne samo iz religioznega, pač pa tudi iz vsakdanjega življenja, so bili vsekakor v splošni rabi ob koncu 19. stoletja in v začetku 20. stoletja na ozemlju od južne Koroške, severozahodne slovenske Štajerske, osrednje in severne Kranjske do dela Goriškega, poznajo pa pa jih tudi drugod po svetu, kamor so jih ponesli slovenski čebelarji.
Slovenska avtohtona čebelja pasma je kranjska sivka (ape carnica), druga najbolj razširjena na svetu. To pasmo poznajo tudi pri nas. V Terski dolini oziroma na Planjavi ciklam so na primer pred nekaj leti furlanski čebelarji postavili plemenilno postajo, saj so tam idealni pogoji za vzrejo kranjske čebele. Pri projektu sodelujeta tudi Občina Bardo in Park Julijskih Predalp. S čebe-
larstvom pa se ukvarjajo različni domačini tudi v Nadiških dolinah, Reziji in Kanalski dolini.

http://novimatajur.it/attualita/svetovni-dan-cebel-v-sloveniji-je-okrog-deset-tisoc-cebelarjev.html


autore BCE da www.numismatica-visual.es

26 mag 2018

Il Bacio delle croci a Monteaperta/Viškorša

Domenica 27 maggio, alle ore 15.00
foto di Jean_Marc Pascolo
Domenica 27 maggio, alle ore 15, a Monteaperta sarà ripetuto nel santuario dedicato alla Trinità, proprio nel giorno della sua festa liturgica l’antico rito del Bacio delle croci – Poljubljanje križev. La celebrazione sarà guidata dall’archivista e bibliotecario arcivescovile, mons. Sandro Piussi, assieme al vicario foraneo di Nimis, mons. Rizieri De Tina. Dopo il «bacio» con il quale le croci delle valli del Cornappo e del Torre si snoderà la processione attorno alla chiesa. Seguirà la celebrazione eucaristica. La festa prenderà avvio alle 11 con la Messa celebrata dal parroco don Vittorino Ghenda. Anche quest’anno al «Bacio» non parteciperanno le croci delle chiese della valle dell’Isonzo che fino ad un decennio fa convenivano numerose.

23 mag 2018

Dialetto resiano - Rośajanski langač o rośajanskë lengač)






testo in sloveno e immagine da http://www.feniks-narava.si/primorska-narecja/

Ovunque entrambe le lingue

IL COMMENTO

Il caso di Cividale (indipendentemente se si sia trattato di un errore o no) fa scuola e dimostra la confusione che regna in tema di carte d’identità (bilingui e monolingui). La cosa più normale sarebbe che in tutti i 32 comuni inseriti nel territorio di tutela venissero emesse solo carte d’identità bilingui, il che non succede, dal momento che i documenti italo-sloveni vengono emessi su richiesta dei cittadini. «Il peccato originale» è rappresentato dal decreto del 2002 dell’allora ministro dell’Interno Claudio Scajola, che ha soppresso unilateralmente i documenti bilingui obbligatori a Duino-Aurisina/Devin-Nabrežina, San Dorligo della Valle-Dolina, Sgonico-Zgonik e Monrupino-Repentabor e nel contempo ha reso possibile la cosiddetta scelta facoltativa delle carte d’identità. Nessun governo di centrosinistra ha mai soppresso o modificato il decreto Scajola, nonostante avesse potuto e dovuto farlo. In merito all’emissione delle carte d’identità bilingui è stato fatto tanto in termini positivi, ma è necessario fare ancora molto, a partire dall’annosa questione dei segni diacritici, che si sta risolvendo, ma ancora troppo a rilento. Resta aperta anche la questione della traduzione di tutte le parole sulle carte d’identità, per non parlare dei nomi bilingui dei Comuni. Il Comune Trst è, per esempio, sempre e solo Trieste. Nel Sud Tirolo tutti i luoghi riportano la denominazione in italiano, tedesco e, laddove vivono i ladini, anche in ladino. Ma la questione è legata allo statuto regionale e non al ministero, si giustificano a Roma. In breve una certa confusione, come dimostra il caso di Cividale, che è benvenuto (anche in questo caso è mancato il segno diacritico), ma la questione va risolta in modo sistematico e in tutti i comuni misti, il che non succede. Non bastano, quindi, le disposizioni del ministero dell’Interno al sistema contabile centrale dello Stato Cie (evidentemente per quanto riguarda i comuni della Slavia friulana non dispone di caratteri diacritici), è necessario un provvedimento politico-amministrativo, che valga per tutto il territorio in di attuazione della legge di tutela. Per quanto ci riguarda tutte le carte d’identità dovrebbero essere bilingui. E un’ultima annotazione: nella precedente legislatura il centrodestra in merito agli sloveni della Slavia friulana è stato previdente e ha osservato il silenzio. Ora c’è Roberto Novelli, che proprio con Cividale ha iniziato il suo «lavoro» nella Camera dei deputati.

Sandor Tence (Primorski dnevnik, 21. 4. 2018)

21 mag 2018

La qualità della vita non dipende (solo) dal reddito


La Benecia inchiodata agli ultimi posti della classifica dell’imponibile medio dichiarato È solo una coincidenza? Non credo. I dati diffusi sulla geografia dell’Irpef – che, si sa, raccontano solo una parte della realtà e che anzi rischiano di portare a letture fuorvianti – lasciano ancora una volta senza parole. Certe tendenze sembrano essersi consolidate, prospettando ulteriori squilibri sul territorio e nella società: i ricchi amano vivere in collina, lontano da traffico e inquinamento, magari in una posizione che gode di un bel panorama (la cosiddetta «migrazione» alla ricerca di «amenity», per es. verso Moruzzo e Repentabor), mentre gli anziani sembrano restare intrappolati in aree marginali che tendono a svuotarsi di umanità e di servizi; e i giovani «emigrano» all’estero alla ricerca di opportunità. In genere è evidente una crisi del ceto medio e una situazione di «non crescita», di stagnazione, che investe tutti i settori di un’economia «matura», che dimostra un’incapacità diffusa a mantenere competitività. Questa condizione caratterizza in particolare le aree in prossimità dei confini, per l’effetto di attrazione che subiscono strutture commerciali e terziarie, come per es. a Gorizia e Tarvisio, ma anche aree urbane e industriali di difficile gestione (nelle quali si nota qualche effetto di counter-urbanization, di «fuga» dalla città). Quindi – per quanto ci riguarda più da vicino – si tratta di effetti del tutto caratteristici che interessano le aree insediate dalla nostra minoranza, che esprimono il ben noto dualismo, con fenomeni di abbandono e impoverimento per le aree slovenofone della provincia di Udine e, al contrario, di attrazione e diffuso benessere per gli sloveni delle provincie di Gorizia e di Trieste. È un fenomeno di diversificazione che – al di là degli esercizi accademici – dipende sicuramente da molte cause, da combinazione di fattori materiali e immateriali, soggettivi e oggettivi, di contesto e di circostanza; ma che è così evidente da interessare sicuramente elementi di cultura e di identità, nel senso più ampio e pratico del termine. Il Judrio sembra dividere due mondi, uno che appartiene a un sistema evoluto e uno che sembra appartenere piuttosto ad un mondo di arretratezza. A questo secondo mondo io stesso appartengo, condividendo con i pochi rimasti in paese tutto il senso di colpa (che del resto è tipico delle minoranze non solo economiche) per non riuscire a dare un contributo perrisolvere una situazione ormai prossima allo spopolamento definitivo. Nessuna sorpresa per chi conosce questi territori, basta attraversare «il» Judrio per avere l’impressione di cambiare continente. Da una parte, territorio ben gestito, agricoltura di qualità, paesaggio ordinato e rilassante (al di là di qualche attività che evidenzia un’estetica un po’ esagerata, si potrebbe dire «californiana») a beneficio dei residenti, ma anche una risorsa per il turismo: segni di benessere, se non di ricchezza diffusa, di una governance che offre e privilegia servizi alle persone, sviluppo di attività economiche di pregio, conciliando tutela e conservazione di valori ambientali e tradizionali – in pratica tutto ciò che caratterizza le aree ad economia avanzata. Dall’altra parte, abbandono e trascuratezza, e una crisi che si evidenzia in molti aspetti del paesaggio, oltre che in una serie di insediamenti che tendono a svuotarsi di umanità, oltre che di economia. Forse non è tutto proprio così, ma l’esperienza ci conferma in questa situazione che, anzi, si manifesta in termini di ricadute sulla vita di tutti e di tutti i giorni, di costi visibili e invisibili che rendono la vita da queste parti a volte insostenibile, che derivano da carenze di servizi pubblici e attività private, economiche o sociali, in genere da un’organizzazione locale che non funziona più. Un fatto che significa costi e problemi che nessuno – neppure il più ricco – può sostenere. Pochi esempi possono rendere l’idea di come la vita di famiglie, individui e imprese sia diventata sempre più difficile: la possibilità di chiedere aiuto a un vicino per aggiustare un recinto o per sorvegliare la casa quando si è in ferie, l’accessibilità ai servizi sanitari – soprattutto per anziani –, l’assenza in paese di un negozio per generi alimentari e altre funzioni essenziali, e così per altre mille circostanze. Si pensi semplicemente alla possibilità che i bambini possano andare da soli a scuola (come succede a Doberdob o a Števerian e in altre comunità ben organizzate), così come a lezioni di danza o di karatè, a piedi o in bus: un fatto che non ha prezzo (lo sanno le famiglie che devono accompagnare in macchina i figli da qualche parte 4 o 8 volte a giorno) in termini di tempo, denaro, fumi di gasolio bruciato, km percorsi, sicurezza. E così per altre mille circostanze; non fa alcuna differenza se siete a Milano centro o a Doberdob: si tratta di servizi di prossimità di valore inestimabile che solo chi vive in una comunità può apprezzare. Una situazione che tende a peggiorare, considerando la situazione di dipendenza ossessiva dall’automobile, l’inesistenza di un serio e conveniente regime di servizi per la mobilità (per es. con abbonamenti «all inclusive», con orari e coincidenze per bus e treni); così anche per sanità, comunicazione (la posta e il postino!)e cultura, carenze che oggi sembrano incredibili, quasi il segno alla regressione a una condizione di Terzo mondo – e di dissoluzione dello Stato; così in genere per le varie questioni di pianificazione territoriale, con le varie amministrazioni che sembrano essere impegnate esclusivamente a fare favori alle varie lobby del cemento e dell’asfalto (rotonde surreali, terze o quarte corsie, svincoli autostradali «faraonici», strade inutili etc. mentre chiudono le mense degli asili!), che drenano risorse pubbliche sempre più scarse, consumando suolo e – paradossalmente – danneggiando a volte definitivamente il sistema di vita locale. E tutto questo mentre una miriade di elementi pregiati di territorio si trova in un penoso stato di degrado e rischia di essere persa irrimediabilmente. Evidentemente la questione del reddito è essenziale e deriva tanto da una buona gestione della «cosa pubblica», di amministrazione e territorio, di tasse e di dazi, che in genere da congiunture, investimenti e cicli di economia globale; ma la qualità della vita non può che dipendere, in queste aree marginali, soprattutto dall’efficienza comunitaria, dall’organizzazione locale, che non può che derivare dal senso di appartenenza che, se manca, non può essere sostituito da nulla. Se la comunità non «funziona», i «costi invisibili» diventano troppo alti, se lo stile di vita diventa insostenibile, qualche cosa che alcuni definiscono involuzione piccolo borghese, over-complacency, crisi di ceto medio o semplicemente pigrizia, nessun livello di reddito può apparire adeguato. È evidente la dimensione «soggettiva» in questo discorso: i costi che derivano dalla mancanza dalla scomparsa di coordinamento sociale, di un senso di identità pratica, oltre che ideale, lo stesso fatto di non accettare il proprio modo di essere non può che portare al «mostro» della crisi, o semplicemente alla povertà culturale, oltre che quella materiale.

Igor Jelen Docente di Geografia economica e politica dell’Università di Trieste (Dom, 15. 4. 2018)

Web sul blog: Giornata internazionale della diversità culturale ...

Web sul blog: Giornata internazionale della diversità culturale ...: Oggi è la Giornata internazionale della diversità culturale per il dialogo e lo sviluppo. Un po' troppo spesso, assistiamo a giudiz...

Tersko narečje - dialetto Alta Val Torre




immagini e testo in sloveno da http://www.feniks-narava.si/primorska-narecja/

20 mag 2018

Il Nediško


immagine e testo da http://www.feniks-narava.si/primorska-narecja/
traduzione in italiano fatta da ot

Quando Resia era feudo di Moggio - Ko je Rezija spadala pod Možnico


10FellaChi viene dalla pianura veneto-friulana e percorre una delle sue vie di comunicazione che collegano il Friuli all’Austria e alla Slovenia (strada statale 13, autostrada A23 o ferrovia), a circa sette chilometri dalla confluenza del torrente Fella e del fiume Tagliamento, nel tratto in cui il primo lambisce l’antica arteria stradale Pontebbana (con inizio a Mestre e termine a Coccau), incontra l’inizio del Canal del Ferro. Questa valle, dove le montagne sembrano toccarsi formando uno stretto canale, divide le Prealpi Carniche dalle Giulie e conduce in Val Canale e oltre le Alpi.
L’edificio che maggiormente rappresenta e custodisce la storia di questi luoghi, e in particolare della Val Resia, che faceva parte del suo feudo, è l’antica abbazia di San Gallo, a Moggio Udinese. Il colle abbaziale costituisce uno dei balconi panoramici più suggestivi di tutto il canale e ben evidenzia il potere feudale rappresentato dalla potente istituzione lì insediata circa mille anni fa. La strada che collega il Friuli al Norico riveste un’enorme importanza dall’epoca dell’Impero romano d’Occidente
(27/23 a.C.-476 d.C.), quando, lungo il suo percorso, si contava solo la presenza di modesti villaggi.
Le origini dell’abbazia sono complesse, e presentano alcuni margini di incertezza. Il cenobio fu fondato nel 1085 da Swatobor (…-1086), più conosciuto con il nome di Federico II, patriarca di Aquileia dal 1084 al 1086 e nipote del re di Boemia, Vratislao II (1032 ca.-1092), nonché unico patriarca slavo della storia aquileiese a seguito della donazione della rocca e del feudo di Moggio da parte del conte Kocelj (Cacellino). Questi era un suo parente, che fu sepolto a Eberndorf/Dobrla vas in Carinzia. Il conte feudatario, probabilmente già vassallo di Sigeardo (… -1077) patriarca di Aquileia dal 1068 al 1077, avrebbe donato i beni di cui era proprietario a Moggio perché vi venisse eretto un monastero. La donazione comprendeva anche molti altri immobili e diritti nelle valli del Gail e della Drava (in Carinzia), nel Bellunese, in Friuli e qui, in particolare, la valle del Fella e il territorio montuoso circostante.
A causa della morte del patriarca Svatobor, che fu misteriosamente ucciso nelle sale del patriarcato,
l’abbazia fu eretta dal suo successore Ulrico I di Eppenstein (…-1121), patriarca di Aquileia dal 1086 al 1121, che aggiunse diverse altre proprietà, diritti e chiese. L’adempimento delle volontà del conte si univa all’intento del patriarca di far controllare la principale via di accesso settentrionale del suo Stato, il Patriarcato di Aquileia, da un’istituzione potente e fedele, in grado di organizzare uomini e di gestire ampi mezzi per la tutela degli interessi del signore territoriale, il patriarca, vassallo dell’imperatore. Ricordiamo che il Patriarcato di Aquileia era stato ufficializzato in un diploma dell’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV (1050-1106) il 3 aprile 1077. In passato, nessun viaggiatore del Canal del Ferro proveniente da nord sfuggiva al controllo dell’abbazia. (Sandro Quaglia)

http://www.dom.it/ko-je-rezija-spadala-pod-moznico_quando-resia-era-feudo-di-moggio/

19 mag 2018

GEO nelle Valli del Natisone/Nediške doline

giovedì 17 maggio '18 a GEO su Rai3
https://www.raiplay.it/video/2018/01/Cammino-celeste-a68da1f6-b703-4c27-ad28-ce7eb9417e17.html

Camminando camminando per gli splendidi boschi della sua zona, Fabio Codromaz ha sviluppato una grande passione per le erbe spontanee, che utilizza in cucina con ottimi risultati. Se lo andrete a trovare nella Locanda che gestisce a San Leonardo (frazione Iainich), provincia di Udine, potrete gustare i suoi ottimi GNOCCHI ALLE ORTICHE e la MINESTRA ALL’AGLIO ORSINO!
Intanto, ecco le ricette da copiare…
GNOCCHI ALLE ORTICHE
Per 4 persone
Per gli gnocchi:
300 g cime di ortiche
300 g patate
150 g farina
1 uovo
q.b. sale
Per condire:
50 g burro
50 g parmigiano grattugiato
q.b. foglie di salvia
q.b. ricotta affumicata
Lavate le ortiche, lessatele in pochissima acqua salata, scolatele, strizzatele e tritatele finemente. Lessate le patate a vapore, passatele allo schiacciapatate, facendole cadere sulla farina disposta a fontana, salate unite l’uovo e le ortiche, impastate fino ad avere un composto liscio ed omogeneo. Ricavate degli gnocchi, lessateli in acqua bollente e salata, scolateli quando vengono a galla e conditeli con burro fuso, salvia e ricotta affumicata.
MINESTRA ALL’AGLIO ORSINO
Per 4 persone
– 500 ml brodo vegetale
– 100 ml panna fresca
– 100 g aglio orsino in foglie
– 3 patate farinore
– 1 cipolla
– 1 scalogno
– q.b. pepe
– q.b. sale
– q.b. noce moscata
– q.b. olio
Fare un soffritto con cipolla e scalogno, aggiungere il brodo vegetale e le patate tagliate e cubetti. Lasciar cuocere il tutto per una ventina di minuti, giusto da rendere le patate morbide, poi aggiungere le foglie tagliate grossolanamente e lasciar cuocere alcuni minuti. Con il frullatore ad immersione lavorare il tutto fino a raggiungere la consistenza desiderata (solitamente la zuppa si serve cremosa). Aggiungere la panna e le spezie, mescolando il tutto per bene. Se si desidera si possono aggiungere delle parti crude di foglia, per dare contrasto e un sapore leggermente più “marcato”. Ottima da servire e mangiare con il pane

ospiti Manuela Iuretig con le sue Magiche creature del bosco    CIVICIMUSEIUDINE   e “Cammino Celeste
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opera di Manuela Juretig (materiale naturale):la krivapeta- personaggio mitologico che vive nei boschi.
Krivapeta donna dai piedi storti (kriva:storto /peta:calcagno) dallo sloveno

immagini e testo da fb https://www.facebook.com/GeoRai3/

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