18 mag 2018

Ivan Cankar

Avevamo una giovane volpe, ma visse prigioniera solo per pochi giorni. Vicino alla sua gabbia stava una grande botte vuota. Una mattina andai a vedere: l’animale stava appeso alla sua catena dall’altra parte della botte, morto e ormai rigido. Di notte si era arrampicato sulla botte, si era lasciato cadere dall’altra parte ed era rimasto appeso, impiccato. Dissero che era stata una pura disgrazia. Io invece sono tuttora convinto che la bestia abbia volutamente posto fine alla sua esistenza: perche quegli occhi ´ aperti, due opali chiari, non rivelavano proprio nessuna paura o dolore, ma soltanto un odio selvaggio. Per molto tempo, e sinceramente, la piangemmo; mi sembra pero strano che n ` e in ´ me ne negli altri si fosse destato qualcosa che ´ assomigliasse alla vergogna o al pentimento. Poco tempo dopo ci comprammo un’altra volpe, ancora piu giovane: aveva solo poche ` settimane. Un ragazzo giovane ce l’aveva portata in braccio. La bestiola era irrequieta ed estremamente paurosa; lo sguardo dei suoi occhi giallo-chiaro era pieno di stupore; ma quando da quei profondi incavi guizzava come un baleno che per un mezzo secondo si fissava sul volto dell’uomo mi sembrava che in lei iniziasse a risvegliarsi, oltre allo stupore, anche qualcosa d’altro, di piu profondo. ` Per la prima notte mettemmo la volpe in una cameretta vuota vicino alla mia stanza. Si strinse in un angolo, i suoi occhi ardenti splendevano nella tenebra come quelli di un gatto. Di notte fui svegliato da un verso rotto, tagliente, rabbioso: “Kef, kef, kef... Kef, kef, kef... ”. In un primo istante, in uno stato ancora di semiincoscienza, mi era sembrato che la bestia ab

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