
La riforma consiste nella riduzione delle foranie da 24 a 8 e nella nascita di 56 collaborazioni pastorali. Le parrocchie delle Valli del Natisone, in un’unica collaborazione pastorale, sono nella forania di Cividale; le Valli del Torre in quella di Tarcento; Valcanale e Resia sotto Tolmezzo.
Abbiamo chiesto a mons. Livio Carlino, parroco e vicario foraneo a Cividale, don Michele Molaro, parroco di San Leonardo, e a don Federico Saracino, parroco di Fesdis e Campeglio, che cosa cambia con la riforma.
«Ci sono principi – sottolinea mons. Livio Carlino – che sono stati messi a fuoco in questi ultimi anni da parte di tutta la Chiesa per venire incontro ad una maggiore incidenza dell’azione pastorale della nostra diocesi, al fine di offrire a tutte le comunità i servizi essenziali. Con la riforma cambiano, a livello strutturale, le foranie. Le realtà delle parrocchie rimangono come ente giuridico, ma vengono accorpate nella collaborazione e sono chiamate ad agire in sintonia a livello locale e attraverso i progetti diocesani».
Sull’accorpamento di tre zone diverse tra loro, il Manzanese, il Cividalese e le Valli del Natisone, mons. Carlino sottolinea come si tratti «di una scelta che comporta una programmazione del lavoro nel rispetto delle peculiarità di queste zone. Va sottolineato, peraltro, che questo progetto non è definitivo, ma è in divenire, nel senso che sono state fatte delle scelte, ma c’è anche lo spazio e il tempo per verificarle e valutarne altre».
Sulla difesa delle culture locali il vicario foraneo si dice «pienamente d’accordo, anche perché la Chiesa annuncia un Cristo che si è incarnato e l’incarnazione è nella realtà concreta che vivono gli uomini, quindi nella cultura, lingua e tradizioni delle comunità. Bisogna studiare, valutare e agire in collaborazione con tutte le realtà. La Chiesa, del resto, è comunione nella diversità. Nella salvaguardia delle lingue parlate nella nostra Chiesa locale, compresa la lingua slovena, c’è da anni un impegno nelle nostre comunità. Ad esempio, nelle liturgie diocesane in Cattedrale a Udine le preghiere e le letture si tengono nelle lingue parlate nella nostra Arcidiocesi, cioè italiano, sloveno, tedesco e friulano».

Apertura e disponibilità verso la peculiarità linguistica e culturale locale è stata espressa da don Molaro che però sottolinea come tanti parrocchiani facciano fatica ad accettare la lingua slovena standard, che peraltro – ammette – non toglie nulla al dialetto locale. L’uso della lingua slovena nelle realtà di Liessa, San Volfango e Drenchia è molto più presente che in altre realtà della zona pastorale in cui opero».

Per diversi anni don Saracino ha operato nelle Valli del Natisone, dove ha maturato un forte legame con lingua e cultura slovene, «che però – evidenzia – a Faedis e Campeglio non sono presenti. Solo a Canebola gli anziani parlano il dialetto sloveno». Il dialetto sloveno è presente pure a Valle di Soffumbergo. (Larissa Borghese)
Cara Olga, passo per augurarti un buon inizio della settimana.
RispondiEliminaTomaso
Lo sloveno in chiesa dopo la riforma
RispondiEliminaBuona serata Tomaso!
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