31 ago 2018

Entro il 2150 saremo spariti


Ho tratto ispirazione dal libro cult di Francis Fukuyama, che ha dato una nuova chiave di lettura alla storia e all’agire umano con il concetto principe di lotta per il riconoscimento di una determinata società, dopo essere stato colpito dai continui annunci di paura da parte di politici e abitanti – quasi sempre venuti da fuori – sui rischi di una slovenizzazione e di perdita dell’italianità nelle zone di confine della provincia di Udine, cioè le valli del Natisone, Torre, Cornappo e della Val Resia.
A parte gli «interessi» elettorali di singoli politici, che hanno cavalcato le paure della gente per farsi eleggere, mi chiedo quale sia il pericolo reale di un residente in tali zone. Poiché sono abituato ad avere un approccio scientifico ai vari problemi – sia per motivi professionali, sia per forma mentis – cercherò di esporre alcuni calcoli che si usano abitualmente nella ricerca medica per calcolare incidenze di malattie e comportamenti nelle popolazioni.
Ora, mettendo alcuni parametri come popolazione residente, tasso di fertilità, età della popolazione, potremmo assistere all’estinzione dell’ultimo beneciano intorno al 2150, cioè tra poco più di 130 anni. Naturalmente queste sono delle proiezioni, con un margine di errore come in tutti questi calcoli, che non prevedono l’intervento di fattori correttivi che noi auspichiamo, come riportato più sotto. Proviamo a chiederci perché siamo giunti a questi livelli e quali sono state le motivazioni di un cittadino comune.
Sappiamo tutti quali siano le cause che hanno prodotto un calo della popolazione da 30.000 nel 1950 ai 5.600 di oggi: mancanza di lavoro, emigrazione, spezzettamento infinito delle proprietà, mancanza di radicamento, mancanza di identificazione nella propria terra. Le scelte politiche, con il continuo svilimento della popolazione, la mancanza d’istruzione nella lingua madre, il sentirsi estranei alle zone contermini hanno prodotto smarrimento, mancanza di iniziative e di volontà di restare.
In queste situazioni, diventa giocoforza adeguarsi ai comportamenti della maggioranza, spesso dimostrando di essere più italiani degli italiani stessi. Lo psichiatra Pavel Fonda, che ha studiato a lungo sentimenti e comportamenti della minoranza slovena, è giunto alla conclusione che l’appartenente alla minoranza vede l’atteggiamento della maggioranza come una specie di «sopruso dovuto» e tenderebbe alla fin fine ad avere un sentimento di autocommiserazione verso se stesso e a trovare la solidarietà degli altri membri della comunità, sfociando alla fin fine in atteggiamenti di pessimismo e di inazione, rassegnandosi alla fine. Rari i casi positivi, con atteggiamenti costruttivi, anche di difesa attiva della minoranza. D’altra parte il martellamento continuo fino dalla scuola materna in un’ altra lingua, con inculcamento di sentimenti nazionalistici, come è stato fino agli anni Ottanta, ti fa porre in dubbio la tua stessa identità, anche se in famiglia si parla un’altra lingua o si hanno opinioni differenti; ti fa stare sempre in guardia su come parli e come ti esprimi. La politica nazionalista ha usato diverse popolazioni per metterle l’una contro l’altra e per portare avanti i propri interessi, lavorando anche sui sentimenti popolari più genuini, come i rapporti tra friulani e sloveni. Valga per tutti la canzone «Sin di Resie, sin Furlans…».
I vantaggi
La maggioranza non solo non dovrebbe temere questa sparuta schiera di beneciani, ma dovrebbe favorirne la crescita e le istituzioni e dovrebbe essere interessata alla storia, cultura e lingua. Al di là dell’aprirsi della mente ad altri orizzonti, ci sarebbe il vantaggio di entrare nel mondo slavo, cominciando ad impratichirsi di lingue che sono affini, con evidenti ricadute economiche (import-export, turismo, peculiarità alimentari). Pensiamo solo alla gubana, tipico dolce della zona, che è stato appropriato dall’intera regione e figura come il dolce tipico da regalare quando si ricevono ospiti da fuori. Per non parlare poi della ricaduta intellettuale, soprattutto per i bambini bilingui: numerosi studi medici con l’ausilio di sofisticate apparecchiature che valutano il metabolismo cerebrale, hanno evidenziato che i bilingui hanno una maggiore vivacità intellettuale, utilizzano di più certe aree del cervello e sono più intelligenti dei monolingui.
Cosa si può fare
La miglior difesa, come per tutte le minoranze, è la cultura. Solo predisponendo l’insegnamento dello sloveno fin dalla scuola materna e poi per tutta la scuola dell’obbligo, si riuscirà ad evitare questa deriva. Per avere dei risultati, come sempre, bisogna partire dalla popolazione, altrimenti è quasi impossibile che le cose piovano dall’alto, soprattutto in un periodo come quello attuale. L’esperienza della scuola bilingue di S. Pietro è emblematica: tutto è partito da un’iniziativa privata, da singole persone ed associazioni, alla quale si sono poi associate istituzioni e cittadini, anche non parlanti sloveno, fino a farla diventare una realtà parificata e riconosciuta dallo Stato italiano. Oltre a questa esperienza, non ne mancano altre positive, come quella di Udine, dove 8 anni fa è stata iniziato il programma «Multicultura», basato su un corso di lingua slovena integrato da uno stage finale intensivo in varie zone della Slovenia, gite culturali, visite ad istituzioni slovene al di qua e al di là del confine, attività in sloveno per bimbi.
Queste iniziative hanno registrato un forte gradimento da parte della popolazione, in parte composta da sloveni che volevano riappropriarsi della loro cultura, in parte da cittadini interessati a conoscere questo mondo. Per ogni singola iniziativa, si è raggiunto il massimo degli iscritti. Sottolineo che anche in questa occasione tutto è partito dall’impegno di singole persone e da un piccolo budget economico. (Mario Canciani – pediatra e pneumologo)

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