del prestigioso istituto svizzero in collaborazione con gli atenei di New York, Lubiana e Udine
Benecia rubata alla sua gente Indaga l’Iheid di Ginevra
Larissa Borghese
È incentrata sul mutamento della percezione dell’ex confine tra Friuli/ Italia e Jugoslavia/Slovenia la ricerca «National Borders and Social Boundaries in Europe: the case of Friuli» (Frontiere nazionali e confini sociali in Europa: il caso del Friuli), finanziata dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica e frutto della collaborazione tra l’Institut de Hautes Etiudes internationals et du Developpement di Ginevra, l’Università di Lubiana (Dipartimento di etnologia e antropologia culturale), l’Università degli Studi di Udine (dipartimento di Lingue e Letterature, Comunicazione, Formazione e Società) e la State University di New York a Binghamton.
È incentrata sul mutamento della percezione dell’ex confine tra Friuli/ Italia e Jugoslavia/Slovenia la ricerca «National Borders and Social Boundaries in Europe: the case of Friuli» (Frontiere nazionali e confini sociali in Europa: il caso del Friuli), finanziata dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica e frutto della collaborazione tra l’Institut de Hautes Etiudes internationals et du Developpement di Ginevra, l’Università di Lubiana (Dipartimento di etnologia e antropologia culturale), l’Università degli Studi di Udine (dipartimento di Lingue e Letterature, Comunicazione, Formazione e Società) e la State University di New York a Binghamton.
Abbiamo chiesto di illustrarci il progetto triennale, iniziato nel
gennaio 2018, ai suoi due promotori ed esecutori: Alessandro Monsutti,
direttore del Département d’anthropologie et de sociologie di Ginevra,
nato in Svizzera e il cui padre è originario del Tarcentino; Stefano
Morandini, antropologo visuale friulano, ricercatore del l’Institut de
Hautes Etudes Internationales et du Développement di Ginevra, che da
quindici anni si occupa delle popolazioni slovenofone del Friuli.
Interesse e professionalità, il ritorno alle radici friulane e la
visita qualche anno fa alla mostra fotografica di Riccardo Toffoletti
sui paesi della Slavia friulana hanno fatto scaturire nei due
antropologi l’idea di questa ricerca, che ha come territorio di indagine
le Valli del Natisone, del Torre e Val Resia, l’area denominata
«Slavia friulana/Benečija», posta a ridosso del confine. Le cui
popolazioni nei secoli sono state vittime di un eccesso di Stato, di
controllo.
Un’area condizionata dalle servitù militari, che toglievano agli abitanti la sovranità del loro territorio, frenandone lo sviluppo agricolo e industriale.
Scopo dell’indagine è anche trovare una risposta alla domanda «Cosa
fa lo Stato alle popolazioni di frontiera? » e come viene messo in moto
dallo Stato il processo di marginalizzazione specialmente in questi
territori, che sotto la Repubblica di Venezia e l’Impero austro-ungarico
godevano di una certa libertà in ambito politico, economico e
culturale.
Con
l’avvento delle politiche di italianizzazione sotto il regime fascista
prima e negli anni del dopoguerra poi, hanno assistito all’irrigidimento
del confine. Un confine antico che negli ultimi cento anni ha visto
modificare la sua valenza politica e dagli anni ‘90 in poi è stato
oggetto di un notevole cambiamento.
La ricerca si sviluppa attraverso un centinaio di interviste, realizzate su due livelli: istituzionale (persone che
hanno operato in politica e nell’associazionismo) e testimonianze di
vita quotidiana, fatta a volte di paura, ma anche di formalità.
«Raccogliamo testimonianze, fonti visuali, super 8, fotografie, tutte le cose che possono aiutare a raccontare », afferma Morandini, che ci tiene a sottolineare che «i dati che raccogliamo e conserviamo non verranno
divulgati direttamente, ma resteranno proprietà dell’istituto e del
fondo». E il confine, l’assimilazione subita per decenni, hanno lasciato
il segno. Lo si avverte nella naturale diffidenza e paura verso chi
viene dal di fuori.
Da
qui l’invito dei due antropologi a collaborare rivolto a quanti hanno
qualcosa da raccontare per dare respiro ad un progetto internazionale,
che in futuro si prefigge di coinvolgere anche l’alta valle
dell’Isonzo.
Quale percezione generale dell’ex confine con la Slovenia emerge dalle interviste finora realizzate?
Morandini: «La percezione da un
lato è che basta poco per tirare indietro la macchina del tempo. Si
sta un attimo per innescare un ritorno agli anni della guerra fredda -
dall’altro che c’è collaborazione attraverso progetti Interreg e uno
sguardo alla Slovenia dettato da maturità e forte dinamicità. Il futuro
però è condizionato dal calo della natalità, che è un problema
generale, e su questo dovrebbe essere fatto un ragionamento politico».
Monsutti: «Mi colpisce il fatto che questa memoria molto dolorosa e
vivace non sia stata affrontata a livello pubblico in ambito regionale e
nazionale. E colpisce l’altissimo livello di non conoscenza di questa
realtà nel pubblico italiano. È giusto preservare i ricordi, ma nello
stesso tempo vogliamo lanciare un dibattito pubblico sulla non memoria
di questo passato, sul fatto che a livello più ampio questa realtà sia
stata messa da parte. Anche perché la consapevolezza di quanto è
accaduto in passato può portare ad affrontare e superare il pregiudizio,
che è ancora molto forte».
Il prodotto finale della ricerca sarà in primo luogo un libro
etnografico basato sulle osservazioni e sulle interviste, in secondo
luogo un documentario che offre un viaggio nel tempo attraverso le
immagini. «I montaggi del documentario saranno concordati con le
comunità, diventeranno un elemento di dibattito, e poi il prodotto
finito sarà costruito insieme alle persone. Presentare infatti delle
memorie registrate alle comunità e raccogliere le idee fa parte di un
modo di lavorare dell’antropologia», sottolineano i due studiosi. Il
documentario verrà presentato in Slovenia, in Italia, in Svizzera su
canali tematici e a New York, dal momento che un’università americana è
partner del progetto. Sarà, inoltre, utilizzato in conferenze di
antropologia.
Benecia rubata alla sua gente
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