L’OPINIONE
Ecco perché l’Unesco ha proclamato il 2019 come anno internazionale delle lingue indigene Attualmente «esistono tra le 6.000 e 7.000 lingue nel mondo. Su una popolazione mondiale di oltre 7 miliardi e mezzo, sembrerebbero poca cosa i 570 milioni di persone appartenenti a popoli cosiddetti indigeni o autoctoni che sono distribuiti in 90 Stati. Almeno 5.000 sono le diverse lingue parlate, ma si calcola che più della metà di queste, circa 2.680, sono in serio pericolo di scomparsa. Senza adeguate misure per affrontare questo problema, l’ulteriore perdita di lingue – comprese la storia, le tradizioni, la memoria ad esse associate – ridurranno notevolmente la ricca risorsa delle diversità linguistiche e culturali del mondo». È comprensibile, per una organizzazione mondiale come l’Unesco, che si faccia qualche azione concreta per mitigare, se non per impedire che questo immenso patrimonio umano si perda per sempre. Per intanto ha proclamato il 2019 come Anno internazionale delle SLOVIT n° 3 del 31/3/19 | pag. 19 lingue indigene in modo che si sappia del problema in vista di azioni concrete di salvaguardia. Ogni due giorni sparisce una lingua autoctona e con la diffusione della tecnologia e della ricerca scientifica nelle lingue dominanti, sempre più si riducono le possibilità di sopravvivenza di quelle minoritarie. Ne sappiamo qualcosa noi sloveni di periferia, cui è data per scontata la scomparsa tra qualche decennio. Ma non è che a due milioni di sloveni o a mezzo milione di friulani non spetti la stessa sorte; è solo questione di tempo. La massificazione, l’omologazione, la globalizzazione, il dominio e la pervasività di internet sono le base strutturali di un possibile Grande Fratello, evoluzione dell’abbozzato da George Orwell già alla fine del secondo conflitto mondiale. La riduzione delle diversità, della pluralità delle visioni, dei valori, delle interpretazioni del mondo specifiche di ogni gruppo linguistico, implicitamente riducono le libertà individuali e comportano la dominazione del più forte sul più debole e sul diverso. «Alla base dell’unicità dei cinquemila popoli indigeni del mondo ci sono le lingue, che definiscono l’identità sociale e culturale di queste comunità e permettono loro di tramandare usanze, conoscenze e la loro storia. Sono fonti di informazioni preziose sugli ecosistemi: attraverso di esse vengono trasmessi saperi antichi sull’utilizzo delle piante e degli elementi naturali. Infatti gli indigeni sono in prima linea nella salvaguardia dell’80 per cento della biodiversità che ci resta, quindi tutelare i loro territori e il loro legame con essi è nell’interesse di tutto il Pianeta». Così sta scritto nelle motivazioni per l’istituzione della giornata mondiale. Dicevo che se vi sono 6.700 lingue parlate al mondo, la stragrande maggioranza è indigena. Una lingua si estingue ogni due settimane e con la crescita del numero di persone che parlano quelle dominanti – come l’inglese, il cinese e lo spagnolo – a discapito della diffusione di quelle meno conosciute, si stima che potrebbe sparire tra il 50 e il 90 per cento delle lingue al mondo entro la fine di questo secolo. Stiamo assistendo a una perdita inesorabile del patrimonio culturale delle popolazioni native e non resta che agire per cercare di salvarlo. Le lingue indigene giocano un ruolo fondamentale nella vita quotidiana delle persone, nella difesa dei diritti umani, nei processi di pace e di sviluppo sostenibile. Perderle significherebbe cancellare per sempre visioni alternative ai valori, alle filosofie e agli stili di vita delle culture dominanti. Forse non ce ne rendiamo conto, ma la lingua che parliamo definisce chi siamo, il nostro modo di intendere e relazionarci con il mondo. E in un mondo sempre più interconnesso, dove le differenze vengono soppresse per far spazio alla globalizzazione, difendere l’unicità delle popolazioni indigene e delle loro lingue è la chiave per preservare la nostra ricchezza come esseri umani. La direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, in apertura della cerimonia nella sede dell’Unesco, a cui sono stati invitati i rappresentanti delle culture indigene, ha confermato l’attenzione internazionale nel percorso di sostegno intrapreso nel 2006 con la Dichiarazione dell’Onu sui Diritti dei popoli indigeni, che recepiva le conclusioni della Convenzione dei popoli indigeni e tribali nel 1989 e della Conferenza mondiale dei popoli indigeni, svoltasi nel 2014, ponendo il tema tra le priorità dell’Agenda di sviluppo sostenibile entro il 2030. Il piano di interventi dovrebbe fornire informazioni su clima, ambiente, medicina e moda, inclusa nel patrimonio immateriale dell’umanità. Se non è la prima volta che l’Unesco si occupa di cultura indigena, e quest’anno è il primo ad essa specificamente dedicato, viene da pensare che, nonostante le dichiarazioni, convenzioni e quant’altro pochi siano i risultati concreti nella difesa della diversità culturale nel mondo. Preoccupante è invece il clima xenofobo e di arroccamento nazionalistico che si sta diffondendo. Riccardo Ruttar (Dom, 31. 3. 2019)
SLOVIT 30 marzo 2019
Ecco perché l’Unesco ha proclamato il 2019 come anno internazionale delle lingue indigene Attualmente «esistono tra le 6.000 e 7.000 lingue nel mondo. Su una popolazione mondiale di oltre 7 miliardi e mezzo, sembrerebbero poca cosa i 570 milioni di persone appartenenti a popoli cosiddetti indigeni o autoctoni che sono distribuiti in 90 Stati. Almeno 5.000 sono le diverse lingue parlate, ma si calcola che più della metà di queste, circa 2.680, sono in serio pericolo di scomparsa. Senza adeguate misure per affrontare questo problema, l’ulteriore perdita di lingue – comprese la storia, le tradizioni, la memoria ad esse associate – ridurranno notevolmente la ricca risorsa delle diversità linguistiche e culturali del mondo». È comprensibile, per una organizzazione mondiale come l’Unesco, che si faccia qualche azione concreta per mitigare, se non per impedire che questo immenso patrimonio umano si perda per sempre. Per intanto ha proclamato il 2019 come Anno internazionale delle SLOVIT n° 3 del 31/3/19 | pag. 19 lingue indigene in modo che si sappia del problema in vista di azioni concrete di salvaguardia. Ogni due giorni sparisce una lingua autoctona e con la diffusione della tecnologia e della ricerca scientifica nelle lingue dominanti, sempre più si riducono le possibilità di sopravvivenza di quelle minoritarie. Ne sappiamo qualcosa noi sloveni di periferia, cui è data per scontata la scomparsa tra qualche decennio. Ma non è che a due milioni di sloveni o a mezzo milione di friulani non spetti la stessa sorte; è solo questione di tempo. La massificazione, l’omologazione, la globalizzazione, il dominio e la pervasività di internet sono le base strutturali di un possibile Grande Fratello, evoluzione dell’abbozzato da George Orwell già alla fine del secondo conflitto mondiale. La riduzione delle diversità, della pluralità delle visioni, dei valori, delle interpretazioni del mondo specifiche di ogni gruppo linguistico, implicitamente riducono le libertà individuali e comportano la dominazione del più forte sul più debole e sul diverso. «Alla base dell’unicità dei cinquemila popoli indigeni del mondo ci sono le lingue, che definiscono l’identità sociale e culturale di queste comunità e permettono loro di tramandare usanze, conoscenze e la loro storia. Sono fonti di informazioni preziose sugli ecosistemi: attraverso di esse vengono trasmessi saperi antichi sull’utilizzo delle piante e degli elementi naturali. Infatti gli indigeni sono in prima linea nella salvaguardia dell’80 per cento della biodiversità che ci resta, quindi tutelare i loro territori e il loro legame con essi è nell’interesse di tutto il Pianeta». Così sta scritto nelle motivazioni per l’istituzione della giornata mondiale. Dicevo che se vi sono 6.700 lingue parlate al mondo, la stragrande maggioranza è indigena. Una lingua si estingue ogni due settimane e con la crescita del numero di persone che parlano quelle dominanti – come l’inglese, il cinese e lo spagnolo – a discapito della diffusione di quelle meno conosciute, si stima che potrebbe sparire tra il 50 e il 90 per cento delle lingue al mondo entro la fine di questo secolo. Stiamo assistendo a una perdita inesorabile del patrimonio culturale delle popolazioni native e non resta che agire per cercare di salvarlo. Le lingue indigene giocano un ruolo fondamentale nella vita quotidiana delle persone, nella difesa dei diritti umani, nei processi di pace e di sviluppo sostenibile. Perderle significherebbe cancellare per sempre visioni alternative ai valori, alle filosofie e agli stili di vita delle culture dominanti. Forse non ce ne rendiamo conto, ma la lingua che parliamo definisce chi siamo, il nostro modo di intendere e relazionarci con il mondo. E in un mondo sempre più interconnesso, dove le differenze vengono soppresse per far spazio alla globalizzazione, difendere l’unicità delle popolazioni indigene e delle loro lingue è la chiave per preservare la nostra ricchezza come esseri umani. La direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, in apertura della cerimonia nella sede dell’Unesco, a cui sono stati invitati i rappresentanti delle culture indigene, ha confermato l’attenzione internazionale nel percorso di sostegno intrapreso nel 2006 con la Dichiarazione dell’Onu sui Diritti dei popoli indigeni, che recepiva le conclusioni della Convenzione dei popoli indigeni e tribali nel 1989 e della Conferenza mondiale dei popoli indigeni, svoltasi nel 2014, ponendo il tema tra le priorità dell’Agenda di sviluppo sostenibile entro il 2030. Il piano di interventi dovrebbe fornire informazioni su clima, ambiente, medicina e moda, inclusa nel patrimonio immateriale dell’umanità. Se non è la prima volta che l’Unesco si occupa di cultura indigena, e quest’anno è il primo ad essa specificamente dedicato, viene da pensare che, nonostante le dichiarazioni, convenzioni e quant’altro pochi siano i risultati concreti nella difesa della diversità culturale nel mondo. Preoccupante è invece il clima xenofobo e di arroccamento nazionalistico che si sta diffondendo. Riccardo Ruttar (Dom, 31. 3. 2019)
SLOVIT 30 marzo 2019
Resteranno inglese, cinese e spagnolo?
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