Bisogna arrivare alla lettera «d» del terzo comma dell’articolo «22 bis», che si vorrebbe inserire nel testo attualmente in vigore, per trovare la ratio della modifica alla legge regionale di tutela della minoranza slovena presentata nell’ambito del disegno di legge omnibus, «Disposizioni multisettoriali per esigenze urgenti del territorio regionale», presentato dalla Giunta regionale lo scorso 30 maggio e già approdato in commissione consiliare. Quella frase, se diventasse legge, impedirebbe di ricevere finanziamenti per la valorizzazione dei dialetti – «varianti linguistiche», sono definiti – delle valli del Natisone e del Torre nonché della Valcanale a tutte le istituzioni e associazioni che da decenni si stanno davvero prodigando per la conservazione del patrimonio linguistico del territorio menzionato. Sarebbe uno scandalo! Nel concreto, la legge regionale per gli sloveni del 2007 riconosce la necessità di salvaguardare i dialetti in uso nella fascia confinaria della provincia di Udine e la Regione vi destina ogni anno dei fondi mirati. Finora erano stati assegnati ai Comuni e in precedenza pure alle Comunità montane, che li hanno spesi in progetti realizzati da istituzioni e associazioni. Ora si vorrebbe che andassero direttamente alle organizzazioni iscritte in un apposito albo regionale, al quale non potrebbe però iscriversi chi è già iscritto all’esistente albo delle organizzazioni slovene. Per capirci, non vi potrebbe entrare la cooperativa Most, editrice del Dom che da quasi 53 anni pubblica gran parte dei suoi articoli proprio nelle varianti linguistiche che si vogliono salvaguardare, mentre avrebbe spalancate le porte qualche foglio, che per decenni ha perseguito l’eliminazione di quelle parlate, che da un paio di anni pubblica qualche scarna frase o brevi racconti in dialetto. Naturalmente il discorso si estende a tutto il mondo associazionistico sloveno che in provincia di Udine opera quasi esclusivamente – con alta professionalità – nelle varianti linguistiche locali e proprio per questo è riuscito a ideare e portare a termine con successo ottime iniziative di valorizzazione dei dialetti di Benecia, Resia e Valcanale. Ricordiamo, oltre i giornali e le innumerevoli pubblicazioni, la compagnia teatrale Beneško gledališče, il festival Senjam beneške piesmi, la trasmissione radiofonica Okno v Benečijo, i cori e molto altro ancora. Non si può non condividere, allora, la forte preoccupazione della Confederazione delle organizzazioni slovene che «comprende l’intenzione della Regione di erogare i fondi direttamente alle associazioni e non più tramite gli enti pubblici», ma ritiene inaccettabile che «nell’ambito della legge regionale che tutela la minoranza slovena possa sorgere uno specifico gruppo di associazioni che vuole distanziarsi dall’attività in lingua slovena». Anche per questo sarà importante la discussione delle modifiche alla legge regionale di tutela che avverrà il 12 giugno nella riunione della Commissione consultiva regionale. A questo punto è interessante anche spiegare la genesi dell’iniziativa legislativa. Lo scorso mese di marzo quattro (!?) – proprio quattro come i famosi gatti – privati cittadini delle Valli del Natisone, presentandosi come rappresentanti di sei (!?) diverse realtà – non ce n’era nemmeno uno per associazione –, hanno incontrato il presidente del Consiglio regionale, Pietro Mauro Zanin, chiedendo interventi a favore della «comunità nazionale italiana di lingua slava propria », ovvero «realtà linguisticamente minoritaria e nello stesso tempo di nazionalità italiana», o addirittura «minoranza italiana che parla una lingua di ceppo slavo» (le citazioni sono dal comunicato dell’incontro, ndr). Basta la lettura di queste definizioni da premio Nobel alla fantasia per inquadrare la reale portata della richiesta. Eppure… Molti si chiederanno perché chi nelle valli rifiuta l’oggettiva e scientificamente provata appartenenenza alla minoranza linguistica slovena voglia poi trarre beneficio dai provvedimenti per la comunità di cui, con legittima scelta personale, non vuole far parte, invece di battersi per una tutela specifica. È un controsenso evidente, ma c’è un però. La Repubblica Italiana, infatti, riconosce dodici minoranze linguistiche e nell’elenco, frutto di oltre mezzo secolo di indagini e studi approfonditi, non c’è quella slava – semplicemente perché quella lingua non esiste più da un millennio e i linguisti inorridiscono davanti alle definizioni di natisoniano, ponassin, resiano, vindiš… – ma c’è a pieno titolo lo sloveno. Mantenere le cosiddette varianti linguistiche delle valli del Natisone e del Torre, di Resia e della Valcanale nell’ambito della tutela dello sloveno diventa, allora, un espediente politico necessario per restare nel quadro giuridico delle minoranze linguistiche in Italia. In concreto: non si potrebbero destinare fondi pubblici per qualcosa che non è riconosciuto. Ma ancora più meschino è servirsi delle leggi di tutela per operare dall’interno contro la lingua e cultura slovena al fine di completare un etnocidio iniziato oltre 150 anni fa. Dunque, guai abbassare la guardia. Gli inghippi sono sempre in agguato.
V uvodniku ševilke z dne 15. junija Dom komentira predlog spremembe deželnega zakona 26/2007, ki je vključen v osnutek deželnega zakona omnnibus. Najbolj zaskrblja namera o uvedbi novega registra za društva, ki delujejo za ohranjanje jezikovinih različič v Reziji, v Kanalski dolini ter v Nediških in Terskih dolinah. nenavaden pa je predlog, da se z novim členom 22-bis ustanovi poseben register, saj bi se lahko to prav tako uredilo, če bi se omenjena društva vpisala v že obstoječi register za slovenska društva. Zgrešeno bi namreč bilo, če bi v sklopu deželnega zakona, ki ščiti Slovence v FJk, nastal register, ki ima namen ustvariti posebno skupino društev, ki se želi distancirati od delovanja v slovenskem jeziku, in tudi da bi se ne smela v register vpisati slovenska društva, ki si vseskozi prizadevajo za ohranjanje domačih govoric.
Un’esclusione scandalosa - Sramotna izlkjučitev
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