3 set 2019

« FRA GLI SLAVI DI MONTEFOSCA » di Francesco Musoni


Montefosca è paese celebre in tutta la valle del Natisone per i suoi abitanti dall'alta statura, dalle spalle ben tarchiate, dai petti villosi, dall'erculea robustezza; soprattutto perchè è fama in mezzo ad essi si conservi pressoché inalterato il tipo degli Slavi primitivi: degli Slavi cioè dell'epoca delle loro più antiche immigrazioni in Friuli.
Chi desidera quindi conoscere quali fossero gli antenati di questi nostri buoni ospiti molti secoli addietro, deve fare una visita a Montefosca; visita che riesce tanto più interessante dopo che, per la prima venuta della principessa Elena in Italia, si volle rilevare l’analogia fra Montefosca (nel dialetto sloveno di S. Pietro Černi Varh) e quello di Montenegro (Črna Gora).
 Ecco le ragioni per cui io decisi di recarmi nel settembre scorso in compagnia d ’un mio amico studioso di glottologia.
Partiti da San Pietro, in mezz’ora fummo a Pulfero, donde, dopo aver attraversato un pittoresco ponte di legno sul Natisone, subito incominciammo la non molto faticosa salita della montagna.
Non seguimmo alcun sentiero, ma quasi in linea retta ci dirigemmo verso Erbezzo.
E ' una frazione 'del Comune di Tarcetta con 492 abitanti, secondo ricensimento del 1881, composta di tre borgate principali: Erbezzo (slov. Arbeč), Zapotocco (dietro il torrente) e Gorenja Vas (villa superiore). In tutte e tre, case di meschino aspetto, ingombrate di letamai e davanti odori acri ed ingrati; e nei dintorni un discreto numero di piccoli campi a forme irregolari, coltivati a mais che b asta solo in minima parte ai bisogni degli abitanti; a patate che ne sono il principale alimento; a fagiuoli, di cui molti si portano in piazza a Cividale; a rape; ed a viti che danno poca quantità di un vino acidetto e scadente. Ve anche in qua e in là degli alberi da frutta: meli soprattutto , peri, rari ciliegi, pochissim i susini. In complesso però il paese, più che da altro, trae da vivere dall’
allevamento del bestiame. Dalla borgata di Erbezzo pochi passi ci condussero a Gorenja Vas, dove c’è una scuola elementare inferiore mista, la chiesa e la canonica. Quel cappellano, don Luigi Clignon, tipo di prete gioviale e simpatico, ci fece un'ottima accoglienza, ristorandoci con vino generoso e cibi abbondanti. Dalle finestre della sua casa l’occhio domina intiera la sottostante vallata del Natisone, tutta vigne e campi industriosamente lavorati, solcata per mezzo del caratteristico
fiume, cui il letto straordinariamente profondo e le sponde selvaggie e dirupate danno un aspetto di
orrida bellezza. Proprio di rimpetto a noi, verso levante, si innalza la vetta del Matajur, dalla forma di piramide dolce, liscia e levigata, come la testa di una fanciulla modestamente pettinata. Più lontano l’aguzza cima del Krn, le controcatene del Judrio e dell’Isonzo e giù giù tutta la serie di morbide alture che degradano dolcemente verso l ’Adriatico. Rimanemmo a lungo a contemplare estatici il superbo panorama che ci si svolgeva dinnanzi, e mentre riconoscevamo all'alpinismo il merito di
procurare emozioni ineffabili e sublimanti lo spirito, ci meravigliavamo di trovare la nostra piccola
patria più bella assai di quanto ci saremmo immaginati. Eppure essa è così poco conosciuta dagli stessi suoi figli. Eppure nessuno, o quasi, viene a visitarla dal di fuori, nemmeno dalla Provincia! Ma chi non lo sa che da noi, in Italia dura ancora il vezzo di correre sempre lontano a cercare il bello della natura, mentre non si vede, o non si vuol vedere quello che, molte volte assai più degno di
ammirazione, abbiamo in casa nostra?
 Senonchè è tempo di andare innanzi, chè il sole già alto e la via lunga ne sospingono. Ecco aprircisi dinnanzi la piccola conca in cui si asside la frazione di Montefosca, meta principale della nostra gita. Alta 725 metri sul livello del m are, è chiusa dal monte Vogu (1164 metri) a nord, dal Juanes (si. Ivanac) (1168 metri) ad ovest e sud-ovest: aperta a levante sul Natisone, verso il quale scende
mediante un gradino ripidissimo, solcato dal torrente Bodrino (si. Bodrin, Zabrodinam , forse da
brod = guado). Nel dialetto sloveno di S. Pietro, Montefosca viene chiamata Černavahr (Črni Vrh), nome che letteralmente tradotto suona: cima nera. Eppure il villaggio non è sopra una cima, ma dentro una depressione. L’ebbe esso forse dalla vetta che gli sorge alle spalle, come dal Matajur desunse la sua denominazione il villaggio omonimo del comune di Savogna? Ma notisi che a tal vetta solo in pianura si dà il nome di Cernavarh, mentre a Montefosca è conosciuta, come dicemmo, sotto quello Vogu, che, curiosa analogia, significa Carbone, e a nessuna cima vien dato il nome di
Montefosca. A ciò aggiungasi che nè la conca in cui siede il villaggio, nè la cima del Vogu, o
Cernavarh che la si voglia chiamare, hanno aspetto nereggiante; la prima essendo un paesaggio
simile a molti altri di montagna, ricoperto di un discreto rivestimento vegetale; mentre il Vogu è biancheggiante di nude rupi calcaree, ringhiose con i loro denti aguzzi e intramezzate di macchie e di cespugli di nocciuoli e da carpini che solo a grande distanza danno una finta severa alla montagna.

archivio personale



Francesco Musoni (San Pietro al Natisone21 novembre 1864 – Udine18 ottobre 1926) è stato un geologo e storico italiano.

3 commenti:

  1. « FRA GLI SLAVI DI MONTEFOSCA » di Francesco Musoni

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  2. Dopo aver letto il tuo post mi sembra di esserci stato (purtroppo non ci sono stato)
    Buona serata

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