11 nov 2019

Vi dico io dove abbiamo sbagliato

Sulla scrivania ho due pubblicazioni: un diffuso quotidiano italiano e il nostro quindicinale Dom. Vi ho dedicato parecchio tempo nella lettura degli articoli per me più interessanti, ovviamente di pregnanza informativa e contenutistica non paragonabile, ma come espressione/ parola di realtà sociali, politiche, economiche, culturali diverse; l’una aperta all’informazione globale, l’altra specifica di un mondo locale ristretto e circoscritto. Teoricamente la seconda compresa nella prima, ma in essa quasi del tutto invisibile. Mi chiedo, infatti, quale importanza possa assumere questo nostro piccolo angolo di superficie terrestre, nei confronti di chi spazia sull’orbe terracqueo. Quando, come, in che cosa potrebbe interessare l’ampia opinione pubblica questa fascia di territorio italiano, da un lato delimitato dalla linea del vecchio confine e dall’altro dalla pianura ai piedi delle Prealpi Giulie orientali?
Per quel che ne so, eccezionali fatti di cronaca, commemorazioni di fatti o personaggi storici, statistiche economiche e sociali possono essere rilevati dalla stampa globale. Se, per puro caso, venisse alla luce la questione «minoranze linguistiche» si alzerebbe presto la voce di qualche saccente che rileggerebbe la storia per reinterpretarla politicamente, contraddicendo allegramente studi e documentazioni acclarate, vedansi la questione Foibe, il Giorno della memoria e quant’altro rientri nella diatriba politica. Essere al margine/confine fisico, per di più montano, è già una problema; essere una minoranza linguistica, storicamente additata come inferiore, retrograda, incivile e ignorante, tardivamente semi riconosciuta nei suoi diritti costituzionali, è invece una maledizione storica.
E leggo il nostro periodico, il Dom. Un nanetto che vive e lavora, si potrebbe dire, più per la volenterosa dedizione dei collaboratori e dei redattori, che per i finanziamenti che riesce a recuperare sulla base dei provvedimenti ministeriali in applicazione della legge di tutela degli sloveni in Italia.
Il Dom si informa per informare, scrive per essere letto almeno da una parte dei diretti interessati; manda segnali alle autorità che dovrebbero garantire alla comunità che rappresenta, quel minimo vitale perché possa non solo sopravvivere, ma anche contribuire attivamente, nel suo piccolo, al benessere proprio e di tutti i cittadini dello Stato cui apparteniamo nel suo piccolo.
Quanto siamo stati aiutati, al di là delle parole, delle promesse e delle immancabili fregature, lo si vede dai numeri come quelli dell’involuzione demografica, dalla concretezza dell’immagine economica, sociale e culturale che lo stesso periodico cerca di evidenziare.
Sull’ultimo numero del Dom, Igor Jelen, docente di geografia politica ed economica presso l’Università di Trieste, si chiedeva «Dove abbiamo sbagliato?» se già 50 anni fa gli sloveni della provincia di Udine, proprio da questo giornale avevano reso pubblica una petizione per chiedere aiuto, rispetto, dignità ed opportunità educative, economiche, territoriali e quant’altro ai preposti al bene comune di tutti i cittadini. La domanda del prof, Jelen da un lato ha un sapore retorico, perché è evidente che i problemi della nostra comunità, dettagliatamente evidenziati, non avrebbero potuto trovare soluzione autonoma. L’errore è nostro? La domanda più pertinente avrebbe dovuto avere il verbo «hanno»: dove hanno sbagliato coloro che della petizione se ne sono infischiati. Non solo. Posso dire che questi hanno agito intenzionalmente per accelerare ed aggravare il fenomeno involutivo. Basti ricordare che 4 anni dopo l’appello del Dom, nel 1973, il Piano urbanistico regionale (PUR) aveva previsto le Valli del Natisone come
«zona silvo-pastorale » privandole di ogni possibile sviluppo urbanistico ed economico. D’altronde già qualche anno prima, la Regione aveva dichiarato come «depressi » 47 comuni della pianura, – come Manzano, Buttrio, S. Giovanni al Natisone, Povoletto e così via fino a Lignano,– riservando alla zona montana l’appellativo, vuoto di provvedimenti economici significativi, «zone di bonifica montana».
Tuttavia, purtroppo anche «noi» abbiamo sbagliato, per cui al quesito del prof. Jelen, «Dove abbiamo sbagliato?», io darei una spiegazione che appare evidente dando un’occhiata, seppur superficiale, al Dom citato. L’indicazione dell’errore viene suggerita già dal titolo di prima pagina: «Nova reforma bo združila Benečijo? / La nuova riforma – degli enti locali – riunirà la Benecia?».
Questa non è di certo una domanda retorica. Il consigliere regionale «beneciano » Giuseppe Sibau, secondo una mia interpretazione della sua intervista, ha sorvolato il quesito, condizionando la risposta con sonori «ma…». Il sunto delle azioni dei sette Comuni valligiani e di Prepotto sulle attività e proposte comunali, d’altronde, evidenziano una marcata assenza di una visione sociopolitica comune e lo stesso dicasi per l’assenza totale di un qualche richiamo ai sensi della legge 38/2001 di tutela, la quale, secondo me, dovrebbe essere il leitmotiv dei loro consessi. Perché? Semplicemente perché «è una norma di legge» e come tale dovrebbe essere richiamata e sfruttata da chi ne è oggetto. Ma tant’è, basta leggere l’elenco del programma di interventi nei settori cultura, sport, autonomie locali nel triennio venturo. Cividale da sola si prende il 53% del malloppo di 6.621.000 euro sul totale di 15 comuni dell’Uti del Natisone.
Ho cercato qualcosa che riguardi in particolare le cultura. Non ho trovato nulla se non i tre milioni e mezzo per il Tempietto longobardo, se di cultura si tratta. Coraggio, c’è sempre chi organizza i Božični koncerti e magari un concorso di dialetto locale. Deve pur sopravvivere, per opera delle istituzioni locali la minoranza linguistica slovena, almeno a parole… italiane!
Riccardo Ruttar

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