29 mar 2015

Il «Nediško»? Un teorema costruito su un falso assioma

Riproposta di un articolo del 2012 sempre di attualità
Ogni lavoro merita rispetto, attenzione ed apprezzamento se non altro per la fatica profusa, per il tempo speso, per l’ingegno impiegato e poi per la dedizione, la passione, le convinzioni che ne stanno alla base. Gli stessi sentimenti merita l’opera in tre volumi di Nino Špehonja: «Nediška gramatika», «Besednjak Nediško – Taljansko», «Vocabolario Italiano – Nediško», editi (da chi?) con i contributi previsti dalla legge regionale 27/2007 di tutela della minoranza slovena e presentati di recente a San Pietro al Natisone nel corso di un convegno organizzato dall’Istituto Slavia Viva.
Rispetto e ammirazione, dunque, per la mole di lavoro che potrà essere utile solo a quanti vorranno avere un primo approccio al dialetto sloveno del Natisone, dagli slavisti classificato nel gruppo del Litorale – Primorska, assieme a quelli delle province di Gorizia e di Trieste. Vale a dire uno dei numerosi (una cinquantina) dialetti della lingua slovena presenti nell’area linguistica slovena che si estende oltre i confini della vicina Repubblica con l’Italia, l’Ungheria e l’Austria. Rispetto e ammirazione che però non escludono critiche, anche severe: una casa può avere un’architettura mirabile, ma se le fondamenta sono deboli, l’edificio diventa instabile e gli inquilini vi si sentono insicuri.
Da semplice osservatore della realtà linguistica locale voglio mettere in evidenza, dal mio punto di vista, il peccato originale che compromette tutta l’architettura dell’opera. Scrive Nino Špehonja: «Il Nediško è una lingua orale […] per il semplice fatto che la nostra gente, fino a non molti anni fa, non sapeva scrivere. Avesse saputo farlo, sicuramente l’avrebbe fatto» («Nediška Gramatika», p. 27).
Ecco un classico teorema costruito su un falso assioma! Un teorema facile da demolire perché il dialetto sloveno delle Valli del Natisone non è e non è stato usato solo oralmente, ma è ed è stato scritto in varie forme, epoche e generi letterari. A confermarlo ci sono libri, raccolte di favole e di altri racconti popolari, volumi di poesie, articoli pubblicati sui giornali; e poi studi, tesi di laurea su testi dialettali, testi di conferenze e atti di convegni.
Mi chiedo come si possano confezionare un vocabolario e una grammatica senza aver fatto uno studio e un’analisi delle prediche nel dialetto del Natisone di don Pietro Podreka di San Pietro e don Luigi Clignon di Cicigolis (entrambi natisoniani doc!) pubblicate dieci anni fa (Andohtljivi poslušavci – Devoti ascoltatori, Združenje E. Blanchini, Cividale 2002, a cura d G. Banchig e R. Ruttar), prediche datate dal 1850 al 1930 e scritte in una lingua che tutti, da Prossenicco a Drenchia, da Canebola a San Leonardo allora capivano e ascoltavano ogni domenica; una lingua «franca», in alcuni tratti di alto valore letterario, che accomunava gli sloveni dell’arcidiocesi di Udine e allo stesso tempo li rendeva linguisticamente vicini agli altri sloveni!?
Come si può ignorare i catechismi, stampati a partire dal 1869 e fino al 1928, diffusi nelle chiese e nelle case, sui quali i bambini imparavano, oltre le verità della fede, a leggere la lingua slovena; e poi i libri di preghiera, le pesmarice, le iscrizioni tombali e perfino le dedicazioni riprodotte sul bronzo delle campane?! Come si fa a dimenticare – solo per citare qualche autore – il semplicista di Mersino, Stefano Gorenszach, che nel dialetto del Natisone ha scritto le sue ricette, la descrizione delle malattie che curava, le formule dei medicinali o la raccolta di canti, racconti e tradizioni registrate da don Giuseppe Gorenszach, pure lui di Mersino, e poi pubblicate nella rivista «Lu@»? E venendo ai nostri giorni come si può ignorare i racconti e le memorie di Luciano Chiabudini-Ponediščak, che si rompeva la testa per trovare la parola giusta nel suo dialetto; come si può dimenticare le favole di Ada Tomasetig nell’inconfondibile parlata di Sorzento e poi i testi teatrali per il «Dan emigranta» e delle canzoni del «Senjam beneœke piesmi» (composte anche da giovani che hanno frequentato la scuola bilingue), il «Trinkov koledar», i florilegi di racconti e le poesie (alcune entrate anche nelle antologie slovene), gli articoli pubblicati sui giornali locali?! E come dimenticare, infine, il «Vocabolarietto italiano-natisoniano» compilato da Simona Rigoni e Stefania Salvino!? Il volume, edito nel 1999 dal Comitato Pro Clastra, fu dallo stesso «ripudiato» perché il curatore, il prof. Anton Maria Raffo, slavista di chiara fama, nella premessa aveva argomentato che «quello delle Valli del Natisone è sostanzialmente un dialetto sloveno. Lo è, stando semplicemente ai più usuali criteri classificatori degli slavisti».
E, piaccia o non piaccia, nelle Valli del Natisone c’è anche una ricca e lunga tradizione scritta anche in lingua slovena a cominciare da don Ivan Oballa di Mersino, autore di un «reportage» sulle sue valli, di racconti e poesie, per proseguire con don Pietro Podrecca, che con Oballa condivide l’onore di essere il primo poeta sloveno della Benecia e per aver pubblicato i propri scritti sulla stampa slovena, per arrivare al grande Ivan Trinko, genio poliedrico, che scrisse varie opere in lingua standard e le sue poesie sono entrate a far parte della letteratura slovena, per concludere con don Antonio Cuffolo che redasse, in italiano e sloveno, una preziosa cronaca della seconda guerra mondiale, vista e vissuta nel «focolaio» della canonica di Lasiz, e scrisse le lettere al missionario degli emigranti Zdravko Reven, che stiamo pubblicando su queste pagine. Sono preti nati  cresciuti nella nostra Slavia che da autodidatti, partendo dal dialetto, si sono appropriati della lingua e l’hanno usata con risultati eccellenti.
Di fronte a questi fatti si sgretola anche il teorema di Ferruccio Clavora il quale, dal basso della sua inadeguata conoscenza linguistica, ha sentenziato che «il nediœko e lo sloveno standard sono due lingue sorelle, in partenza due dialetti» che per il loro sviluppo diversificato sono due espressioni «indipendenti tra di loro». Sono indipendenti solo per lui che oggi, forte della consequenzialità che da decenni accompagna la sua involuzione culturale, afferma che «la nostra lingua», intesa come nediœko, bisogna «accettarla e trasmetterla alle generazioni future, insegnandola anche nelle scuole», mentre qualche tempo addietro, dal pulpito della sala consigliare di Taipana, tuonava: «Per quanto riguarda l’insegnamento non vi sono dubbi: per gli sloveni della provincia di Udine servono scuole bilingui, sloveno-italiano. Lingua slovena e non dialetti»!http://www.dom.it/il-nediko-teorema-su-un-falso-assioma/

3 commenti:

  1. Quello è uno scritto che meriterebbe veramente di essere ri pubblicato per completare ed arrichire i numerosi attuali articoli delle varie nostre testate giornalistiche che spesso non sanno di cosa parlano.

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