31 gen 2017

Da Stregna a Pola nel segno della pittura


Tra le storie di ‘lontananza’, che sempre di più riguardano le Valli del Natisone, questa ha un sapore particolare. È affidata al caso, più che alla necessità di cercare una nuova dimora. Ce la siamo fatta raccontare direttamente da lei, via telefono, incuriositi dalla presenza, in una comunità di artisti che da oltre due decenni opera a Pola, in Istria, di un cognome che non ammette equivoci.
Eccoci così a parlare di e con Debora Trusgnach, che oggi nella vita si occupa di pittura decorativa e di ‘trompe d’oeil’, quella tecnica pittorica che ci fa credere di vedere oggetti reali e tridimensionali che in realtà non ci sono. Debora ha origini a Stregna per parte di madre ed a Drenchia per parte di padre, ha vissuto oltre vent’anni tra Oblizza e Tribil Inferiore.
Dieci anni fa decide di passare alcuni giorni di vacanza a Pola. “A quel tempo mi dilettavo con illustrazioni, ma anche filastrocche, stando là in vacanza ho incontrato una persona che mi ha parlato di Gradska Radionica, mi ha detto che mi sarebbe piaciuto. Mi sono recata dal presidente e fondatore, Marjan Sinošić, che mi ha detto che sarei potuta rimanere per un paio di giorni, e poi ne avremmo parlato”, racconta Debora. La permanenza è stata più lunga del previsto: “Quando ho visto all’opera gli appartenenti all’associazione, che stavano realizzando un murales a Dignano, ho pensato che quello era ciò che volevo fare. Marjan mi ha detto che potevo restare, che avrei lavorato con la pittura. Sono dieci anni che lo faccio, e non vorrei fare altro.”
Oggi Debora si occupa, all’interno di Gradska Radionica, di vari progetti. “È un luogo dove c’è continuo movimento di artisti, che non si occupano solo di arte figurativa ma anche, ad esempio, di ricerca musicale sperimentale. Qui è stata creata anche la prima Banca del tempo croata.” Si tratta di una banca in cui l’unità di misura usata come valuta è un’ora, ovvero sessanta minuti. Ognuno può registrarsi online sul sito della banca e mettere a disposizione della società il proprio tempo, il proprio sapere o le proprie abilità, ottenendo in cambio il servizio richiesto da un altro socio della banca.
Se fa mai ritorno nelle Valli del Natisone, anche solo per una visita a parenti ed amici? “Ci vengo ogni due o tre mesi – risponde Debora –, l’atmosfera di casa è sempre quella, mi piacerebbe anche starci di più e, perché no, dedicarmi in qualche modo anche lì alla mia attività.”
http://novimatajur.it/cultura/da-stregna-a-pola-nel-segno-della-pittura.html

Lo sloveno-storia-dialetti

Lingua  slovena

Famiglia linguistica
Indoeuropeo, slavo, slavo meridionale

Storia

Gli antenati dello sloveno contemporaneo, furono gli slavi che a partire dal VI secolo si stabilirono nella regione delle Alpi orientali, l'attuale territorio sloveno, a sud di Austria e Ungheria e a nord-est dell'Italia. Le prime testimonianze di una lingua scritta risalgono al X secolo quando apparvero i primi documenti in sloveno. Questi sono i più antichi testi slavi scritti in alfabeto latino. I primi cinquanta libri in sloveno furono scritti da riformisti protestanti nel XVI secolo. Tra questi troviamo la prima grammatica (1550) e la prima traduzione della bibbia. La lingua letteraria moderna nacque dai differenti dialetti sloveni e dalla tradizione slovena scritta che risale a molti secoli prima.
Manoscritti di Frisinga - secolo X
Dialetti
In Slovenia ci sono 7 gruppi dialettali con 46 dialetti in una zona geografica relativamente piccola. Da un punto di vista dialettale, lo sloveno è la lingua slava più ricca. Esistono diverse ragioni che spiegano questa diversità dialettale: i popoli che si stabilirono nel territorio sloveno, provenivano da luoghi diversi facendo si che quattro famiglie linguistiche s'incontrassero in un unica regione (germanica, ugrofinnica, romanza e slava) e influenzassero le lingue vicine. Anche le condizioni geografiche sono state rilevanti, infatti le numerose vallate alpine e le montagne boscose limitavano le relazioni tra le persone. Tutte queste condizioni contribuirono a formare un ricco patrimonio linguistico con numerose particolarità lessicali e grammaticali che possono essere di difficile comprensione per gli abitanti di altre regioni.




  •  Gorenjska narečna skupina
  •  Dolenjska narečna skupina
  •  Štajerska narečna skupina
  •  Panonska narečna skupina
  •  Koroška narečna skupina
  •  Primorska narečna skupina
  •  Rovtarska narečna skupina
  1. šavrinsko narečje
  2. čiško narečje
  3. kostelsko narečje
  4. mešani kočevski govori
  5. severnobelokranjsko narečje
  6. južnobelokranjsko narečje

I dialetti che troviamo nella Slavia della provincia di Udine (Valli del Natisone,Resia,Alta Val Torre,Val Canale ) appartengono alla primorska  narečna skupina - gruppo dialettale del litorale.


30 gen 2017

2. svetovna vojna v stripu - La 2ª guerra mondiale a fumetti (41)

17 GENNAIO 2017 / 17. JANUAR 2017 Dom


Lieta 1945  je končala druga svetovna vojska. Kar se je pred njo, med njo in po nji gajalo v Benečiji, je lazajnski famoštar g. Antonio Cuffolo (1889-1959) napisu v dnevnikah po slovensko in po italijansko. V drugi pregledani in dopunjeni izadaji, ki jo je urediu Giorgio Banchig, sta izšla par zadrugi Most lieta 2013.  Moreno Tomasetig je slovenski Cuffolu dnevnik spravu v strip , ki ga  v beneškoslovenskem dialektu obljavljamo v vsaki številki Doma. To je 41. nadaljevanje.
Nel 70° della fine della seconda guerra mondiale (1945), Moreno Tomasetig ha trasformato in fumetto i diari del parroco di Lasiz, don Antonio Cuffolo (1889-1859). In questa puntata. Il 19 giugno 1944 i partigiani garibaldini fanno saltare la cabina elettrica di Tarcetta. Il 20 luglio arriva la notizia dell’attentato a Hitler. Il 25 luglio scappa il podestà di Pulfero, il 29 luglio i garibaldini a Ponte S. Quirino attaccano i carabineri e i soldati della Republica di Salò e molti di essi si danno alla fuga. Il 30 luglio i tedeschi mobilitano le classi dal 1916 al 1926. Il 2 agosto compaiono a Lasiz i «domobranci», anticomunisti sloveni. A don Cuffolo fanno sapere di essere alleati con i tedeschi per convenienza: attendono l’arrivo degli alleati, convinti che questi consegneranno loro le redini della Slovenia. Intanto, dopo un attacco da parte dei partigiani, i tedeschi danno alle fiamme Subit. Il 7 agosto i partigiani requisiscono tutti i muli. Il 12 agosto da Radio Roma il premier inglese Churchill esalta Tito, dopo averlo incontrato. ( 41 – continua)

Lo sloveno-primi documenti-


Lo sloveno deriva dal protoslavo e si è formato dall'antico slavo ecclesiastico. E' una lingua relativamente recente, dato che i primi documenti scritti risalgono appena al nono secolo. La lingua letteraria è stata sviluppata e diffusa nel sedicesimo secolo da scrittori protestanti.
Si deve a Primož Trubar il primo libro, Katekizem (1550), seguito dall' Abecednik (1550). Il Katekizem è la spiegazione di alcuni punti di vista luterani, mentre l' Abecednik insegna a leggere. Jurij Dalmatin tradusse la Bibbia (1583) e Adam Bohorič compilò la prima grammatica della lingua slovena (1584). Questi e tutti i libri protestanti che seguirono, furono sistematicamente distrutti o pubblicamente bruciati durante gli anni della Controriforma 1600-1603. Furono salvati solo alcuni esemplari della Bibbia che i sacerdoti potevano leggere previa dispensa papale.
Questa brutale interruzione dell'attività letteraria fu un grave colpo per lo sviluppo della lingua, tanto più che i controriformisti non si servirono della stampa per divulgare le proprie idee. Bisognò attendere fino all'anno 1744 per ristampare la grammatica di Bohorič, dopodiché l'attività letteraria riprese, ma gli scrittori non avevano alcun testo letterario - tranne la vecchia Bibbia di Dalmatin - con cui confrontare i propri dialetti.
Solo con l'Ottocento la lingua si consolidò per merito di Jernej Kopitar, Matija Čop e altri. Nacquero i primi grandi autori, tra i quali spicca France Prešeren. Alla fine del secolo si ebbero molti scrittori e poeti di talento, e nel primo ventennio del Novecento furono attivi Oton Župančič e Ivan Cankar, ritenuti i massimi esponenti rispettivamente della poesia e della prosa slovena. La lingua in cui si esprimono è la base sui cui poggia tutta la produzione letteraria del secolo scorso.

Situazione attuale

Data la recente evoluzione della parola scritta, non meraviglia che lo sloveno sia tuttora in fase di perfezionamento. L'ultimo intervento sulle regole grammaticali è stato quello degli anni sessanta del secolo scorso per mano di Jože Toporišič e collaboratori. A tutt'oggi molti linguisti ritengono che Toporišič abbia solo "sminuzzato" le regole preesistenti inserendo svariate nuove regole e categorizzando quelle che prima erano state ritenute delle eccezioni. Ma la lingua è viva e sta assimilando velocemente le novità migliorative, mentre cadono in dimenticatoio eventuali eccessi di categorizzazione.
https://it.wikibooks.org/wiki/Sloveno

LA MINORANZA SLOVENA IN FRIULI VENEZIA GIULIA


Lo sloveno è una lingua indoeuropea del gruppo slavo meridionale. Oltre ad essere lingua ufficiale della vicina Repubblica di Slovenia, rappresenta una minoranza linguistica nella nostra Regione, presente lungo la fascia frontaliera che va dal Comune di Muggia al Comune di Tarvisio. Le comunità slovenofone sono inserite in un contesto plurilingue; la divisione dialettale della minoranza slovena in Italia, rende difficile la scelta di uno standard letterario sloveno come linguatetto per tutte le comunità. Infatti, mentre la minoranza presente nelle province di Trieste e Gorizia (in cui vigono condizioni di bilinguismo totale) si riconoscono nella lingua e nella cultura della Slovenia, i gruppi della provincia di Udine tendono a sottolineare la differenza dei loro dialetti nei confronti dello standard sloveno per rimarcare la loro specificità culturale. Lo sloveno ha ottenuto il riconoscimento di lingua minoritaria con la Legge 482/99 “Norme in materia delle minoranze linguistiche storiche” e la legge 38/2001 che riconosce i diritti della minoranza slovena presente in Friuli - Venezia Giulia. In Provincia di Udine, le comunità di lingua slovena sono presenti in Valcanale/Kanalska Dolina, nei Comuni di Malborghetto e Tarvisio, nella Val Resia/Rezija (dove la parlata conserva parole e strutture grammaticali oramai scomparse in ogni altra regione abitata da sloveni), nelle Valli del Torre/Terske Doline, nei Comuni di Pulfero, Savogna, Grimacco, Drenchia, San Pietro al Natisone, San Leonardo e Stregna. Particolarmente attivi sono, circoli culturali, associazioni, cori, organi di informazione. In Provincia di Udine esistono due giornali bilingui: il settimanale Novi Matajur e il quindicinale Dom-kulturno verski list. I più rappresentativi circoli culturali sono: Ivan Trinko di Cividale , Centro Studi Nediža di San Pietro, Planika della Valcanale, Rozajanski Dum, il Gruppo Folcloristico “Val Resia” e il Coro “Monte Canin”. A Cividale ha sede l’Unione emigranti sloveni del FriuliVenezia Giulia/Slovenci po svetu che segue il collegamenti con le diverse comunità degli sloveni all’estero e pubblica il periodico Emigrant.

http://www.cmgemonesecanaldelferrovalcanale.it/fileadmin/user_cm/Documenti/Sportelli_Linguistici/Sportello_Sloveno/Storia_lingua_slovena.pdf
  

Intervallo






Contea di Tribil Superiore: La Grande Guerra sul monte Hum.

Contea di Tribil Superiore: La Grande Guerra sul monte Hum.: Presentazione del progetto "Il sentiero della Grande Guerra del Monte Cum/Hum verrà presentato sabato 4 febbraio nella Sala Comunale d...

Quando la guerra è interiore: Trilogia della città di K

Due gemelli, una nonna sconosciuta e dai contorni di favola macabra, una piccola casa a pochi metri dalla frontiera con “l’altro Paese”; una cittadina chiusa in se stessa, che langue nella povertà e nell’isolamento, ma che rifiuta – in qualche modo – di soccombere. Sullo sfondo, quasi impalpabile, la guerra: nera di morte e di miseria, spettro innominabile e innominato.
I gemelli (non si conoscono, all’inizio della storia, i loro nomi) hanno solo undici anni quando, per volontà di una madre disperata, vengono portati via dalla “Grande Città”, loro luogo natio, e condotti dalla nonna in campagna, nella “Piccola Città” (mai nominata se non per l’iniziale, K. appunto), per sopravvivere alla fame e ai bombardamenti. Con loro, solo una piccola valigia; di fronte a loro, soltanto due possibilità: indurire il carattere, o crollare di fronte ai soprusi della nonna, alle interminabili ore di lavoro, al freddo, alla povertà, al male sociale che lento dilaga nel bisogno e negli stenti. Dotati di una lucidità rara e spietata, i gemelli si adattano perfettamente all’ambiente che li circonda, esorcizzando il male in un grande quaderno contenente i racconti delle loro giornate. Si sostengono a vicenda fin quasi a fondersi l’uno nell’altro, fino a diventare una sola anima e un solo corpo, che parla attraverso il quaderno con l’unica voce, arida, di un osservatore troppo maturo per la propria età.
Fino a quando, un giorno, finita la guerra, uno dei due gemelli decide di attraversare la frontiera: sarà l’inizio di una divisione lacerante, di un senso di perdita incolmabile e sordo nel suo dolore. Il gemello rimasto nella Piccola Città ha ora un nome, Lucas, mentre il ricordo del fratello (che ora sappiamo chiamarsi Claus) sembra perdersi leggero nella memoria e nel tempo. Eppure, la ricomposizione di un tutto che pare ormai lacerato è il quieto sottofondo di qualsiasi azione: Lucas sa di doversi sentire incompleto senza il fratello. Sarà l’inizio di una prova che cambierà nel profondo qualsiasi consapevolezza, capovolgendo illusioni e speranze.
Scritto tra il 1986 e il 1991 da Ágota Kristóf (30 ottobre 1935 – 27 luglio 2011), scrittrice ungherese naturalizzata svizzera, Trilogia della città di K. è – fuori d’ogni dubbio – uno dei romanzi più intelligenti mai scritti. Composto di tre diverse parti (Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna), ciascuna delle quali narra una diversa parte della storia da punti di vista differenti, è un mirabile intreccio di trame che si fondono e si sciolgono su infiniti livelli, fino a lasciare il lettore attonito e indelebilmente sorpreso dalle rivelazioni finali. Il rapporto tra Claus e Lucas è peculiare anche se ci si sofferma ai soli nomi, uno l’anagramma dell’altro: i gemelli sono legati da un sentimento e da una vicinanza talmente profondi da risultare incomprensibili, persino morbosi, a chi li circonda. Lucas e Claus possono essere due e uno solo, in un continuo gioco di doppi e false proiezioni che colpisce per la sua sagacia e per il continuo ribaltamento di punti di vista. Sullo sfondo, come una macabra cornice, l‘orrore della guerra prima e lo spettro del socialismo reale poi: una realtà che si mostra nuda, fuori da ogni mitizzazione, e che non risparmia alcun dettaglio. Quella di Kristof è una prosa incredibilmente arida, e tagliente come pochissime, eppure ha saputo sublimare la distruzione e la tragedia del secondo conflitto mondiale meglio di molte altre. Non viene fatta menzione di luoghi, schieramenti, battaglie, città: è bastata la voce candida di due ragazzini, sporcata dalla cruda consapevolezza della propria condizione, a farci capire tutto ciò che era necessario capire. Il microcosmo di personaggi che si muove attorno a Lucas e Claus è il ritratto più fedele di una disperazione viscerale, muta di fronte all’indifferenza; una disperazione viziosa, malata, contorta, a tratti inspiegabile. Kristof, nata ella stessa in un villaggio ungherese “privo di stazione, di elettricità, di acqua corrente, di telefono”, e fuggita in Svizzera in seguito all’intervento dell’Armata Rossa in Ungheria, narra l’esilio e il dolore dello sradicamento in un modo che, lungi dall’essere impersonale, mette a nudo le paure e i gli incubi più intimi.
Trilogia della città di K. non è, quasi sicuramente, un libro per tutti. Durissimo, acre, tratteggiato a pennellate violente, è difficile anche per il lettore più accorto. Eppure, per chi si sentisse pronto ad affrontare la prova, è un’impareggiabile sfida alla coscienza e alla nostra idea di passato, guerra, legami familiari, illusioni.
Kristof ha scritto un romanzo che è certamente destinato a chi saprà comprenderlo, ma è indubbio che la sua portata saprà ergersi nella memoria di chiunque.


29 gen 2017

Molte le richieste di preghiere

Quelli appena trascorsi sono stati dodici mesi caratterizzati da un grande bisogno di ritrovare la fede e la speranza, in un momento molto difficile per la grave crisi economica ma, soprattutto, per la crisi dei valori e della famiglia. Lo hanno notato anche le suore clarisse del convento di clausura di Partistagno di Attimis/Ahten.
«Credo sia stata una concomitanza di eventi – dice una delle sorelle –; Papa Francesco ha indetto l’Anno Santo, l’Anno della Misericordia. E in tante persone, più di sempre, è nato forte il desiderio di ritrovare il Signore, nella preghiera, cercando un luogo lontano dalla confusione, immerso nella calma, come è il nostro monastero. Ogni giorno in questo luogo sacro c’è l’Adorazione, in chiesa, e numerosi fedeli hanno voluto essere presenti. Più degli altri anni». Pure al parlatorio, dove le religiose sono sempre disponibili all’ascolto attraverso la grata, sono giunti tanti uomini e donne, in cerca di conforto, di una parola di aiuto, di comprensione e di un messaggio di speranza.
«Accogliamo sempre ogni richiesta – dice la sorella – anche quelle che arrivano tramite il telefono. Siamo consce di essere solo uno strumento del Padre Nostro. Questa è la casa del Signore. Ed è davanti a Lui, che è qui, che le persone si guardano dentro, cercando la pace, l’amore, il perdono».
Nella chiesa del convento di clausura di Attimis delle Suore Clarisse Sacramentine, “gemello” di quello Moggio Udinese, è stata celebrata nel 2016 la messa di Natale, a mezzanotte, e quella di fine anno, alle 23.30. «Per entrambe le messe c’è stata una grandissima affluenza, una grandissima partecipazione che ci ha riempito di gioia». Guardando a tutto il 2016 appena trascorso, le suore fanno notare come, nei mesi della bella stagione, ci sia stata una notevole richiesta di trascorrere alcuni giorni in ritiro spirituale, nelle stanze della foresteria. «Mai come la scorsa estate abbiamo ricevuto tante domande in questo senso: c’è il bisogno, in sempre più uomini e donne, di silenzio e di preghiera. Le richieste sono state così tante che ci siamo viste costrette, in alcuni casi, purtroppo, a non poter accogliere tutti. In molti, allora, hanno scelto di passare solo un giorno, o mezza giornata, in ritiro».
In questi mesi freddi, le suore stanno ristrutturando l’area della foresteria. I locali saranno nuovamente fruibili a fine primavera, forse anche prima. «Anche alcuni sacerdoti passano qualche giorno in ritiro, o persone che arrivano da molto lontano». Nel 2016, infine, una bella notizia per questo grande monastero di clausura: ci sono state, infatti, due nuove vestizioni. Due postulanti hanno vestito l’abito di Santa Chiara e sono entrate in Noviziato. Una ha radici nelle Valli del Natisone. Si tratta di Daniza Cencig, nata a Togliano in comune di Torreano/Tauorjana, il cui padre è di Montefosca/Čarni varh, in comune di Pulfero/Podbuniesac.
P. T.
dom del 15/01/2017

Cormòns, capitale del Collio

immagine da
http://www.fogliogoriziano.com/cronaca/collio-verso-lunesco-3/

fonte dal blog L'oppure vedi link in fondo al post
Se da Udine ci dirigiamo verso Gorizia (o viceversa), o da Cividale del Friuli ci immergiamo nei Colli Orientali del Friuli passando oltre Corno di Rosazzo, arriviamo nel cuore della zona collinare friulana famosa in tutto il mondo, il Collio, il cui centro principale è senza dubbio Cormòns.
Fondata dai Romani su tracce di antichi insediamenti preistorici, è una cittadina di stampo asburgico in cui si respira aria mitteleuropea, contornata da caratteristici borghi sul confine con la Slovenia. A Cormòns e dintorni, infatti, data la vicinanza al confine, si parla anche lo sloveno, oltre naturalmente all’italiano e al friulano.
Il territorio circostante è ovviamente caratterizzato dai rilievi collinari del Collio, la cui formazione geologica avvenne oltre 40 milioni di anni fa, quando ancora tutta la zona era sommersa dall’acqua. L’erosione di quest’ultima creò la formazione di particolari rocce che si cementarono formando il terreno tipico di queste zone, il “flysch di Cormòns” o “ponka“, adatto alla successiva tradizione della coltivazione della vite. I movimenti tettonici permisero di far emergere le terre, formando le colline oggi completamente ricoperte dalle vigne.
A nord rispetto al centro storico si trova poi l’altura del Monte Quarin (274 m). Dalla cima si può ammirare un panorama unico non solo del Collio friulano, che spazia dalle Alpi alla pianura, fino ad arrivare al mare. Proprio qui sorse un Castrum di epoca romana, necessario come punto di difesa e osservazione. Non solo dalla cima, comunque, si gode di un’ottima vista: salendo verso la sommità si incontra più punti panoramici, oltre che la bella chiesetta di San Giovanni Battista, risalente al Trecento. Dal Quarin è possibile effettuare poi diverse escursioni, raggiungendo le zone del Brda (Collio sloveno) o località come Subida, con la chiesa del Santissimo Crocifisso. Una di queste camminate porta al sentiero sterrato del Mò, che conduce verso il Bosco di Plessiva, un parco naturale molto suggestivo, a ridosso del confine con la Slovenia.
Cormòns è sicuramente famosa per la sua tradizione vitivinicola, essendo considerata la “capitale” del Collio, ma il suo centro storico è tutto da scoprire, caratterizzato da numerosi palazzi che ricordano la lunga appartenenza dell’antica cittadina all’impero austro-ungarico. L’edificio più importante è senza dubbio il Duomo, edificato nel 1736 e dedicato a Sant’Adalberto. Ci si accede da una scenografica scalinata, e al suo interno sono custodite interessanti opere pittoriche del Cinquecento e Seicento. Importante anche il Santuario della Rosa Mistica, caratterizzato dal fatto che custodisce al suo interno una statua della Vergine, considerata miracolosa. Il cuore del centro storico è però sicuramente Piazza XXIV Maggio, un tempo sede di un famoso mercato per le ciliegie, prodotto locale diffuso anticamente in tutto l’impero. Qui sorge Palazzo Locatelli, attuale sede del municipio, che si distingue per la facciata in stile veneziano. Al suo interno ha sede la celebre Enoteca di Cormòns, che offre un’ampia selezione dei vini del Collio, e nel giardini interni il Museo Civico, con opere dello scultore Canciani.
Non c’è dubbio, però, che il vero tesoro di Cormòns è il territorio in cui sorge, il Collio friulano, famoso in tutto il mondo e premiato espressamente anche da Lonely Planet per le 10 mete da visitare nello scorso anno del 2016. Celebre per la produzione vitivinicola, è anche l’origine di un simbolo di fratellanza universale. Qui, infatti, sorge un vigneto di circa due ettari dove convivono centinaia di vitigni diversi, la cui particolarità è che provengono da ogni parte del mondo. A opera dei soci della Cantina di Cormòns, la “Vigna del mondo” dà vita al “Vino della pace“, che dal 1985 si caratterizza come un vino unico per le sue caratteristiche naturali ma anche per il messaggio di fraternità e di pace che vuole trasmettere, il quale ogni anno si rinnova mediante la vendemmia. Servito a tutti i capi di Stato europei e recapitato anche al Papa, è una tradizione internazionale di cui la città capitale del Collio va molto orgogliosa.

IL PROGRAMMA DEL SANTUARIO DI PORZUS PER IL 2017

Con l’arrivo del nuovo anno arriva anche il nuovo calendario degli appuntamenti al Santuario Mariano di Porzûs/ Porčinj, anche se pure in questi mesi freddi i fedeli hanno continuato a raggiungere il luogo di fede per una  preghiera o per onorare la Madonna in chiesa o nella cappella dell’apparizione. Si comincia ufficialmente il 22 aprile, alle 10.30, con la messa celebrata in sloveno da mons. Alojz Uran, arcivescovo emerito di Lubiana. Il giorno successivo, alle 11.15, apertura ufficiale della stagione dei pellegrinaggi con l’arcivescovo mons. Diego Causero, già nunzio apostolico. Canterà il coro di Carlino diretto dalla maestra Giada Paravano. Il 7 maggio, per il mese della Madonna, pellegrinaggio a Porzûs/Porčinj delle Parrocchie di Urbignacco di Buja e di Rubignacco. Maggio, che annuncia la bella stagione, si chiude con un appuntamento di preghiera, il 31, alle 20. Riprendono poi gli incontri di fede delle Messe dell’ammalato: il 18 giugno, alle 17, c’è la prima celebrazione del 2017 presieduta da don Ivo  Belfio, parroco di Artegna, con l’accompagnamento del coro del gruppo parrocchiale. La seconda Messa dell’ammalato è stata fissata per il 16 luglio: in questo caso il rito cristiano sarà celebrato da mons. Giampaolo D’Agosto e accompagnato dalla corale dei giovani di Reana del Rojale, diretti dalla  maestra Serena Vizzutti.
Il 15 agosto, nella solennità dell’Assunta, santa messa solenne presieduta da mons. Giulio Gherbezza. Quindi la terza Messa dell’ammalato, il 20 agosto, alle 17, celebrata da don Luigi Cozzi. Il 2 settembre ci sarà la messa per i fedeli sloveni e, il giorno dopo, festa grande per ricordare il 162° anniversario delle apparizioni alla piccola Teresa Dush; ci sarà la messa solenne cantata dal Piccolo coro di San Leonardo/Svet Lienart, diretto dal maestro Daniele. Presiederà mons. Andrea Bruno Mazzocato, arcivescovo di Udine.
Fondamentale per tutti gli appuntamenti è l’aiuto del consiglio pastorale, dei volontari dell’associazione «Amici di Porzûs», che accolgono fedeli e pellegrini, e del responsabile del santuario, don Vittorino Ghenda, sacerdote instancabile. Fuori dal calendario, don Vittorino ricorda che ogni domenica viene celebrata la Messa in chiesa alle 9; da aprile a settembre la messa si celebra anche il giovedì e il sabato alle 10.30, e si recita il Rosario ogni domenica alle 16.30. 
P. T.
dom del 15/01/2017
per approfondire http://users.libero.it/luigi.scrosoppi/teresadush.htm

28 gen 2017

Il Manoscritto di Cergneu o Černjejski Rokopis


Il Manoscritto di Cergneu o Manoscritto di Cividale o, anche, Catapan di Cergneu (Černjejski Rokopis o Čedadski Rokopis o, anche, Beneškoslovenski Rokopis in sloveno) è uno dei rari manoscritti redatti in lingua slovena, impiegando i caratteri latini al posto di quelli glagolitici o cirillici utilizzati nei testi paleoslavi, pervenuto fino ai nostri giorni. È stato analizzato e divulgato all'inizio del secolo scorso da Vatroslav Oblak e da Jan Baudoin de Courtenay che curò la pubblicazione del testo integrale corredato delle fotografie di tutte le sue pagine . Attualmente è conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli.
Il documento fu redatto alla fine del XV secolo, nel periodo compreso tra la scrittura dei più antichi manoscritti in sloveno a noi noti, denominati "Monumenti di Frisinga" (metà del IX secolo), e la stampa dei primi libri in lingua slovena (1550Abecednik e Katekizem). Fa parte dei pochi manoscritti sloveni conservati in Italia; le altre testimonianze sono rappresentate dal Manoscritto di Udine (Videnski Rokopis) del 1458, che contiene la traduzione di alcuni numeri, e dal Manoscritto di Castelmonte (Starogorski Rokopis) datato 1492-1498, che riporta il testo del Padre nostro, dell'Ave Maria e del Credo.
Il Manoscritto di Cergneu, composto da sedici fogli di ottavo regali, contiene una serie di annotazioni scritte nel periodo 1459-1585.
Il documento è conosciuto anche con la dicitura "Anniversario di Legati latino-italiano-slavo della Confraternita di S. Maria di Cergneu".
Il manoscritto è il più datato documento di carattere amministrativo, a noi giunto, scritto anche in sloveno.
Contiene la registrazione, in lingua latina, in lingua italiana e nella forma dialettale slovena della valle del Torre, di 102 donazioni consistenti in prodotti agricoli, campi, prati, ovini, bovini e soldi, effettuate dai fedeli alla Confraternita di Santa Maria Maddalena di Cergneu. Le 52 annotazioni scritte in dialetto locale furono redatte da Janez, notaio di Veglia nel periodo 1497-1508.
Il documento risulta una delle principali fonti per la conoscenza e lo studio dei toponimi, degli antroponimi e della parlata dell'area slavofona dei comuni di NimisTaipanaLusevera e Attimis alla fine del XV secolo.

Le annotazioni in sloveno

Le annotazioni sono dei brevi scritti, in formato quasi standardizzato, costituiti da un numero di righe che possono variare da tre a cinque. Le registrazioni hanno, tipicamente, la seguente configurazione:
"...ta in ta faranz iz te in te vasi je zapustil bratovščini Svete Marije iz Černjeje...
(pšenico, vino, zemljišce, živine, denar), da bi se za njegovo dušo opravilo
doloceno število maš...
"
ossia:

"...il tale e tale parrocchiano (proveniente) da questo e questo paese ha donato
alla Confraternita di Santa Maria di Cergneu.... (frutti, vino, terreni, animali e monete)
con l'obbligo di far celebrare ogni... anni un numero di... funzioni religiose per la sua
anima (o in suffragio di quelle dei suoi parenti defunti)..."

 testo e immagine da https://it.wikipedia.org/wiki/Manoscritto_di_Cergneu

L'OPINIONE di Riccardo Ruttar

Vivere nelle valli diventerà privilegio
Con l’Epifania le feste, le spese per garantirsi regali, generi alimentari, addobbi e 
quant’altro sono ormai alle spalle. Non che il sistema distributivo di ogni bene
 possibile ritrovi la calma: appaiono già suggerimenti al carnevale e spuntare di 
colombe e uova di Pasqua.
Quindi la festa consumistica continua nelle moderne cattedrali in cui si 
santifica la materialità della vita sacrificandola all’utile, sì, ma anche al superfluo se 
non all’inutile ed al dannoso.
Il senso religioso, quello del secondo comandamento «ricordati di santificare le feste» – senza parlare del primo che recita: «Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio al di fuori di me» – già a
 partire dalla festività domenicale si è perso da tempo e quindi si è perso anche
 quel richiamo al trascendente, allo spirituale, ai valori non monetizzabili. Sembra che oggi una parte consistente dell’umanità si caratterizzi per la sua capacità di consumo e che a questo dio sacrifichi la propria operosità identificando il proprio progresso col prodotto interno lordo.
Nel nostro piccolo tuttavia possiamo ancora tentare di resistere a questo
 processo se pensiamo a come abbiamo vissuto le festività natalizie, di fine e di 
inizio anno. Il richiamo alle tradizioni nei paesi e nelle chiese, quell’afflato di
memoria storica, il richiamo alla nostra lingua dimostrano che c’è ancora lo spirito,
l’anima a indicare la strada da percorrere. Che la nostra comunità si sia sentita viva
e vitale nella santa messa in sloveno la notte di Natale a San Pietro al Natisone e
nella celebrazione del Dan Emigranta nella festa dell’Epifania a Cividale, è segno
che ci sono ancora valori riconducibili alla nostra storia a dare forze per resistere
 al degrado che ci circonda.
A guardare, appunto, il mondo che ci circonda viene da chiedersi fino a dove 
saprà spingersi l’insensatezza globale umana nella corsa al consumo.
Leggevo in questi giorni alcune considerazioni suggerite dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) in occasione della Giornata mondiale del suolo istituita dalle 
Nazioni Unite: in Europa si perdono 11 ettari di terreno ogni ora, suolo che perde 
i suoi connotati naturali per essere modificato in modo perenne, 
cementificato, asfaltato. Senza contare le deforestazioni e l’inquinamento.
L’Italia dà un particolare contributo a questo fenomeno del consumo del suolo:
 secondo l’Ispra, qui si rendono irreversibili 6-7 mq di suolo al secondo e questo
 consumo è quasi il doppio rispetto alla media europea.
Se penso alle nostre valli mi verrebbe da dire che stanno rappresentando un 
prezioso antidoto a questa epidemia, col verde dei loro boschi e la selvaggia
 rivincita della natura. Viverci, di questo passo,
 diventerà sempre di più non iattura ma un privilegio. Meglio se ancorati ai valori tradizionali della nostra lingua, della nostra cultura del patrimonio immateriale tramandatoci dagli avi, vale dire
 come sloveni. Un punto in più di fronte alla massificazione ed alla 
spersonalizzazione in atto.
fonte Dom 15/01/2017

26 gen 2017

GIORNATA DELLA MEMORIA (27 FEBBRAIO )

Chi salva una vita, salva il mondo intero(Talmud)

 

 
Nella tradizione mistica ebraica, 36 Giusti vivono su questo pianeta senza essere consapevoli della loro natura “speciale”. Nessuno li conosce, sono in un certo senso “nascosti” (nistarim), ma in ogni momento della storia ce ne saranno sempre 36 e la loro presenza assicura l’esistenza del mondo stesso.
Nella narrativa europea orientale il viandante forestiero che giunge in una comunità giusto in tempo per salvarla dalla catastrofe è molto probabilmente uno dei 36, ma è troppo umile per rendersene conto. Terminata la sua missione, torna nell’anonimato.
Nessuno sa chi siano quei 36, ma ogni ebreo dovrebbe cercare di conformare il più possibile il suo comportamento e il proprio stile di vita ad essi, dovrebbe cioè agire come se fosse uno di loro e tenere a mente il detto talmudico che “chi salva una vita salva il mondo intero”.

Gino Bartali

Era un devoto cattolico, molto legato all'Arcivescovo di Firenze Angelo Elia Dalla Costa.
Dopo l'occupazione tedesca in Italia nel settembre 1943, Bartali - che era un corriere della Resistenza - giocò un ruolo molto importante nel salvataggio degli ebrei da parte della Delegazione per l’assistenza agli immigrati (DELASEM), rete avviata dallo stesso Dalla Costa e dal rabbino Nathan Cassuto.
Il ciclista toscano fingeva di allenarsi per le grandi corse a tappe che sarebbero riprese dopo il conflitto, ma in realtà trasportava documenti falsi, nascosti nel sellino della bicicletta, per circa 800 ebrei nascosti in case e conventi tra Toscana e Umbria. Centinaia di km percorsi in bici avanti e indietro, da Firenze ad Assisi, per “consegnare” nuove identità alle famiglie ricercate con feroce determinazione dai fascisti della RSI e dai nazisti.
Quando veniva fermato e perquisito, chiedeva espressamente che la bicicletta non venisse toccata, dicendo che le diverse parti del mezzo erano state attentamente calibrate per ottenere la massima velocità.
Giorgio Goldenberg, piccolo ebreo fiumano, raccontò di essere stato nascosto con la famiglia in un appartamento di proprietà del campionissimo in via del Bandino a Firenze. "Sono vivo perché Bartali ci nascose in cantina", spiegò.
Ricercato dalla polizia fascista, Bartali sfollò a Città di Castello, dove rimase cinque mesi, nascosto da parenti e amici.
Con la sua azione Bartali ha contribuito al salvataggio di 800 persone fra il settembre 1943 e il giugno 1944. Giusto tra le Nazioni.




25 gen 2017

Il cappellano Čedermac alla Joppi - Čedermac v knjižnici v Vidnu


Cedermac web
Mercoledì 25 gennaio, alle 18, nella sala «Corgnali» della civica biblioteca «Joppi» (riva Bartlolini 5) avrà luogo la presentazione del romanzo «Il cappellano Martin Čedarmac» (uscito nel 1938), pubblicato nel 2015 dalla cooperativa «Most» di Cividale del Friuli in italiano nella traduzione del compianto Ezio Martin. L’opera tratta della proibizione dell’uso della lingua slovena nelle chiese della Slavia Friulana, avvenuta nel 1933 con decreto di Benito Mussolini. Nello stesso volume è raccolto anche il romanzo «Kaplan Martin Čedarmac» a fumetti, disegnato da Moreno Tomasetig e con testi nel dialetto sloveno delle Valli del Natisone, pubblicato in 67 puntate dal quindicinale Dom tra il 31 gennaio 2011 e il 31 gennaio 2014. La prefazione al volume è dello scrittore triestino Boris Pahor. Alla presentazione a Udine, organizzata dalla stessa «Joppi» e dall’assessorato alla Cultura del Comune per il ciclo «Dialoghi in biblioteca», interverranno il direttore della «Joppi», Romano Vecchiet, il teologo e direttore responsabile del Dom, mons. Marino Qualizza, e il docente di sloveno dell’Università di Udine, Roberto Dapit.

V sredo, 25. januaja, ob 18. uri bodo v dvorani »Corgnali« mestne knjižnice »Joppi« v Vidnu (riva Bartolini 5) predstavili poznani roman Franceta Bevka »Kaplan Martin Čedarmac« (izšel je leta 1938), ki ga je zadruga Most leta 2015 objavila v italijanščini, v prevodu že pokojnega Ezia Martina. Roman je osredotočen na prepoved slovenskega jezika v beneških cerkvah pod fašizmam leta 1933. Prevodu so dodali isti roman v beneškoslovenskem narečju v stripu Morena Tomasetiga. Strip je bil v petnajstdnevniku Dom objavljen v 67 nadaljvanjih med 31. januarjem 2011 in 31. januarjem 2014. Uvodno besedo je napisal Boris Pahor. Ob predstavitvi v Vidnu, ki jo prireja mestna knjižnica v sodelovanju z odborništvom za kulturo občine Viden, bodo spregovorili direktor knižnice Romano Vecchiet, teolog in odgovorni urednik Doma msgr. Marino Qualizza ter profesor slovenščine na videnski univerzi Roberto Dapit. Objava Kaplana Martina Čedermaca v italijanščini daje Italijanom priložnost, da spoznajo, kakuo je Benečija trpela pod fašizmom.

Gli arrotini di Resia al museo - Rezijanski brusači v muzeju

«Rivive la memoria storica di un umile mestiere». È quanto era scritto all’ingresso della prima mostra permanente dell’arrotino, inaugurata a Stolvizza nel 1999. Negli anni si è arricchita di numerosi oggetti inerenti questo tradizionale mestiere della Val Resia. Trasferitosi nella nuova sede nel 2005, il museo è nato con l’intento di trasmettere alle generazioni future la memoria di un antico mestiere, tramandato di padre in figlio, delle genti della Val Resia, ma soprattutto di Stolvizza.
All’ingresso di Stolvizza, nella piazza dedicata all’arrotino, lo sguardo incontra un grosso masso con un bassorilievo in metallo, omaggio ai tanti arrotini scomparsi, veri padri di quest’umile mestiere.
Con forte determinazione il C.A.M.A., associazione che riunisce gli arrotini della Val Resia sparsi in tutta Italia, ha deciso di tenere aperto il Museo dell’arrotino a Stolvizza, unico nel suo genere in Italia, durante tutto l’anno. Questo per permettere a turisti e scolaresche di poter conoscere questa realtà ancora viva sul territorio. Il museo è aperto dal martedì al sabato dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 13.30 alle 15.30; chiuso il lunedì. Nel periodo invernale il museo apre anche la domenica su prenotazione. Per maggiori informazioni scrivete all’indirizzo e-mail info@arrotinivalresia.it
»Zaživi zgovdovinski spomin skromnega poklica« (»Rivive la memoria storica di un umile mestiere«). Tako je bilo napisano ob vhodu v prvo stalno razstavo o brusačih, ki so jo na Solbici otvorili leta 1999. Razstavo so v letih obogatili z mnogimi predmeti, ki so povezani s poklicem, ki je tradicionalen v dolini Rezija. Muzej, ki se je preselil v nove prostore leta 2005, se je rodil z namenom, da bi prenašal novim generacijam spomin na starodavni poklic, ki so ga prenašali iz roda v rod v Reziji in še posebej na Solbici.
Na vaškem trgu posvečen brusaču ob vhodu v vas Solbica lahko opažate velik kamen s kovinskim ploskim reliefom, ki je posvečen mnogim izginulim brusačem. Slednji so bili pravi očetje tega poklica.
Vztrajno si je društvo C.A.M.A, ki združuje brusače iz doline Rezija v Italiji, prizadevalo za odprtje Muzeja brusača na Solbici med celim letom. Muzej je nekaj svojevrstnega in namerava omogočati turistom in šolam spoznavanje poklica, ki je še živ na teritoriju. Muzej je odprt od torka do sobote, sicer od 10.30 do 12. 30 in od 13.30 do 15.30; ob ponedeljkih je zaprt. Ob nedeljah je muzej pozimi odprt le po dogovoru. Za nadaljnje informacije lahko pošljete elektronsko sporočilo na e-naslov info@arrotinivalresia.it

24 gen 2017

Emergenza Abruzzo: Panontin, grande lavoro del personale FVG

GIORNO DELLA MEMORIA

da wikipedia
Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata in commemorazione delle vittime dell'Olocausto. È stato così designato dalla risoluzione 60/7 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria. La risoluzione fu preceduta da una sessione speciale tenuta il 24 gennaio 2005 durante la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite celebrò il sessantesimo anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti e la fine dell'Olocausto.

Si è stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell'Armata Rossa, impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.


 
Due poesie di Dan Pagis, scrittore ebreo (1930- 1986)

 Scritto a matita in un vagone piombato

Qui, in questo convoglio,
io eva
con mio figlio abele
Se vedrete mio figlio maggiore
caino, figlio di adamo,
ditegli che io ...







"No no: loro, senz’altro
erano esseri umani: uniformi, stivali.
Come spiegarlo? Creati furono a immagine di Dio.

Io ero un’ombra.
Io avevo avuto un altro Creatore.

E Lui, nella Sua grazia, non ha lasciato in me qualcosa di mortale.
E sono fuggito verso Lui, sono salito lieve, azzurro,
pacificato, direi quasi: scusandomi;
un fumo verso un fumo onnipotente
che non ha corpo né immagine". 

 

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